cultura

Pietrangelo Buttafuoco "I cinque funerali della signora Göring"

giovedì 20 novembre 2014
di Alessandra Fassari
Pietrangelo Buttafuoco "I cinque funerali della signora Göring"

Se esiste uomo disposto a proteggere la propria amata sin oltre la morte, a volerla con sé, polvere ed ossa, a raccoglierla pezzo dopo pezzo “gocciando lacrime di tenerezza più che di angoscia”, allora è l’amore, il vero topos del nuovo romanzo di Pietrangelo Buttafuoco. Un amore travolgente, passionale, a tratti oscuro, ma di certo altisonante, dolce e struggente che, trascritto in un’altalena di profondi sentimenti e coinvolgenti emozioni, ha spinto l’autore ad andare fra le rovine del Goering’s Carinhall alla ricerca deduttiva del bene nel male, di un altro punto di vista di quella che fu la Germania nera del nazionalsocialismo.

In una cornice storica che si pone a cavallo delle due guerre, minuziosamente descritta e indagata con l’acume giornalistico che gli è proprio, lo scrittore ha voluto cogliere l’essenza del reale, conducendo il lettore in un contesto narrativo, tracciato, etimologicamente parlando, con una mano “schizofrenica” degna di una personalità inquieta qual è la sua. In bilico fra tensione e distensione, ora irriverente e sfrontato, ora timido e imbarazzato, si nutre di malinconia, Buttafuoco, e non può farne a meno, rapito com’è dall’universo femminile da cui si lascia affascinare, catturare ed irretire.

E ce lo dimostra ancora una volta, infatti, partendo dalla «curiosità derivata tutta da lei, quella donna bellissima in quella foto sul piroscafo, da quella foto, appunto, è scaturita la vicenda di due che si amarono sempre, oltre la tomba», due che, con uno stridente ossimoro lessicale, potremmo definire demoni innamorati, inermi e indifesi come Tristano e Isotta sotto l’effetto estatico della pozione amorosa. 


Lei, baronessa Carin von Fock, in una sera nevosa di Svezia, il 20 febbraio del 1920, riconobbe in lui, Hermann Wilhelm Göring, erede del grande Barone Rosso, la sua stessa maligna natura e se ne innamorò all’istante. Così, in un turbinio di fulmini, struggimento e passione “tutto in loro s’incendia”; così, consapevole di avviare “un fatto d’amore che semina il proprio germe nel dolore”, Carin decise di lasciare marito e figlio per quell’atleta biondo dei cieli che le prese l’anima; così scelse di perdere tutto, affrontando povertà, malattia e scandali, pur di averlo sempre con sè; così, in partenza, cantò “una canzone in cui chi si abbraccia sa di abbracciarsi per dovere poi morire”, quasi preludio di quella prematura scomparsa che non le avrebbe dato pace se non dopo ben cinque sepolture. 


Un racconto nel racconto, dunque, una narrazione su due livelli che vede da un lato il folle amore di due amanti, dall’altro gli accadimenti storici che imperversavano intorno a loro, dall'incontro con Hitler che gli avrebbe cambiato la vita, all’esilio europeo dopo il fallito colpo di Stato, dalla morte di Carin che, già malata, si spense nell'ottobre del 1931, al nuovo Hermann, grasso e morfinomane, ombra del giovane che l'aveva fatta innamorare, preso di sé e da una vanagloriosa smania di potere.

Una storia che pur non essendo leggenda è leggendaria, pur non essendo poesia, la si respira, pur non essendo irreale, si colora di mito, grazie allo stile scrittorio reso liricamente melodico dalla passione che Buttafuoco, ancora una volta, effonde nel testo.