cultura

Leggerezza, introspezione e virilità. I "Sogni e bisogni" di Salemme divertono il Mancinelli

sabato 15 novembre 2014
di Davide Pompei
Leggerezza, introspezione e virilità. I "Sogni e bisogni" di Salemme divertono il Mancinelli

"Era il modo più bello per cominciare". Lo dice, grato, al pubblico di Orvieto, dove ormai da vent'anni torna ogni anno per presentare i suoi lavori. Una sorta di test scaramantico che tradisce le origini partenopee, ma anche un riconoscimento a tutti quegli applausi di cui, ogni volta, il Mancinelli non si dimostra avaro. I primi li strappa, a soli dieci minuti dall'inizio, appena mette piede in scena chiudendo dietro di sé la porta della toilette. Misti alle risate tragicomiche, andranno poi avanti praticamente per l'intera durata dell'atto unico.

Riprendendo più forte, stavolta senza risate ma con orecchio più attento, sul finale che fornisce senso e chiave. Non solo della pièce. I tempi azzeccati e frizzanti sono frutto di un lavoro di lima – all'apparenza altrettanto divertente, più che faticoso – su un testo scritto nel 1995 con il titolo di "Io e lui", dichiaratamente riferito, seppure con le dovute differenze nello sviluppo dell'intreccio narrativo, al celebre romanzo di Moravia. Dismessi i panni mefistofelici che giusto un anno lo volevano "Diavolo custode", Vincenzo Salemme fa scorta del calore di quella che chiama "famiglia". Di consanguinei in platea ce ne sono pochi. Ma tra amici e affezionati giovedì 13 novembre si arriva a riempire fino al terzo ordine i palchetti per la prova straordinaria aperta al pubblico e a far registrare il tutto esaurito la sera successiva, quella della prima nazionale già annunciata per venerdì 14 novembre, sperimentata solo una volta, questa estate, al Teatro dei Templi di Paestum.

La commedia brillante era già arrivata al Mancinelli nel 2001, sotto altra forma. Due all'epoca, gli atti. Diversi, in parte, gli attori. Attualizzato, il "Sogni e bisogni" prodotto dalle srl "Diana Or.i.s." e "Chi è di scena", trova nuova energia trascinando i protagonisti giù dal palco, in mezzo alla platea, infrangendo così le barriere teatrali, ammorbidendo o irrobustendo all'occorrenza l'uso del dialetto e rendendo più esplicito l'invito a sognare. Come se, a distanza di anni, ce ne fosse maggiore bisogno.

A rivendicare maggiore protagonismo sulla scena e nella vita, è quel "tronchetto della felicità" che, geloso del fegato e stufo di essere considerato un semplice "inquilino del piano di sotto" fino a tentare il suicidio con l'elastico delle mutande, si stacca materialmente dal corpo del cassintegrato Rocco Pellecchia per spronarlo a fare altrettanto. "Mentre cantavano L'Eternità – lo schernisce – tu hai messo fine alla vita per paura della libertà. Ma la libertà è un'illusione. Il senso di responsabilità, un elastico che tiene legati al buco nero. Siamo stati luce". E se la modernità impedisce di sognare perché obbliga a realizzare i sogni, i tre desideri espressi da semplici arrivano a miagolare.

Aggiungono equivoci alle illusioni e risate alle risate, Nunziatina e Clementina, l'improbabile coppia delle sorelle portinaie, l'ispettore Osvaldo Savarese, la moglie nativa di Pozzuoli di 19 anni e 6 mesi più giovane fino al fratello Gennaro da Mondragone. Gli regalano presenza scenica, con grande professionalità Nicola Acunzo, Domenico Aria, Andrea Di Maria, Antonio Guerriero e Biancamaria Lelli. Firma le scene – inatteso e forse poco valorizzato il retro che nascondono – Alessandro Chiti. I costumi appartengono a Mariano Tufano, le musiche a Antonio Boccia, il disegno luci è di Umile Vainieri.

Dietro le risate facili di una comicità leggera, si nascondono anche riflessioni introspettive. Unica costante, rimane il sorriso. "Il segreto – svelerà alla fine Salemme che scrive, dirige e interpreta lo spettacolo – è accettare che non siamo banali, ma nemmeno speciali. Cerchiamo carezze. Sogni leggeri, senza bisogni". Per il piacere di farlo.