cultura

Lorenza Mazzetti sfoglia il suo "Diario londinese". E a Bolsena il cielo cade

domenica 21 settembre 2014
di Davide Pompei
Lorenza Mazzetti sfoglia il suo "Diario londinese". E a Bolsena il cielo cade

Prima, il bisogno di dimenticare per sopravvivere. Poi, il senso di colpa per aver dimenticato. E quindi non aver testimoniato al mondo l'orrore visto. È il mistero dei sopravvissuti alla Storia, l'indicibile che invece va raccontato per ritrovare un senso all'esistente. Ci ha convissuto per una vita intera, Lorenza Mazzetti. Da ragazzina "malata e nevrotica che parlava inglese con accento francese" a fondatrice del cosiddetto "free cinema" britannico, il movimento fatto di storie di periferie malinconiche e giovani qualunque che ha segnato il cinema contemporaneo europeo.

Reduce dal Festivaletteratura di Mantova e prossima a partecipare al Fondifilmfestival, è tra le figure intellettuali più autentiche che frequentano la Tuscia e ne arricchiscono e fecondano il tessuto artistico e culturale. Giovedì 18 settembre è ospite della Libr'Osteria "Le Sorgenti" di Bolsena per presentare il suo "Diario londinese", pubblicato da Sellerio a distanza di anni dal fortunato "Il cielo cade", con cui nel 1961 si aggiudica il Premio Viareggio e da cui nel 2000 è tratto l'omonimo film di Andrea e Antonio Frazzi che ha per protagonista Isabella Rossellini.

Durante l’incontro, organizzato in collaborazione con il Club Unesco Viterbo Tuscia – presenti il presidente Luciano Dottarelli e la libraria Katia Maurelli – vengono proiettati anche alcuni estratti dai film "K" e "Together", premiato a Cannes nel 1956. Due volumi, piccoli solo nello spessore e corredati di foto, e un paio di pellicole in bianco e nero di cui è regista, le sono sufficienti a catalizzare l'attenzione. Il resto lo fanno le parole, pronunciate con bella dizione e lucida consapevolezza. Lo fa la sua di storia, ripercorsa ancora una volta, come una ferita che non cicatrizza, da quando ha iniziato a scriversi nel 1928. O, in maniera più forte, nel 1944 nella villa con le finestre sull'Arno dove le SS naziste le uccidono zia e cugine.

"Ho rivisto quella scena spaventosa che si ripeteva all'infinito" confida. "Con mia sorella Paola non riuscivamo più a studiare, leggere o scrivere. Non mangiavo più. Andavo spesso al cimitero. Lei, mi scuoteva. Ero in preda a una sorta di pietrificazione anestetizzante del corpo e del cuore". Suo zio, cugino di Einstein, si suicida l'anno dopo. Lei chiede i soldi al tutore per fuggire via. Sogna le scogliere di Dover ma nella traversata non fa altro che vomitare. Arriva mezza morta alla dogana, quindi alla Slade School of Art di Londra. "Insisto – racconta – per essere ammessa. Perché sono un genio, dico".

E l'introduzione di un linguaggio cinematografico fatto di inedite e intense soggettive, la rendono effettivamente interessante al punto che il British Film Institute le concede di produrre il secondo film. Il primo, lo ha girato rubando l'attrezzatura all'accademia universitaria. È "K", ispirato al celebre "La Metamorfosi" di Franz Kafka. "Apparentemente – spiega, lei – è lui il mostro in una società che si considera realtà. Come lui mi sentivo in un contesto che aveva dimenticato i morti e viveva come se nulla fosse accaduto. Soffrivo le spaccature di una società, che doveva ubriacarsi e basta per non sentire la responsabilità di quanto era successo".

In lei, convivono candore e impertinenza che nascono dal bisogno di dimenticare. Amore per Baby, la sorella. Rabbia, nello sguardo allucinato di Kafka. La testimonianza di Lorenza Mazzetti prosegue, ripercorrendo l'incontro con Tony Richardson, Lindsay Anderson e Karel Reitz, insieme al quale firma un manifesto programmatico che è storia. E, anni dopo, quello con Cesare Zavattini. "Sono poche, piccole cose. Che mi hanno cambiato una vita degna di essere vissuta, nonostante tutto".