cultura

L'artista orvietana Sara Spaccino in mostra al Festival dei due mondi di Spoleto

venerdì 12 luglio 2013
L'artista orvietana Sara Spaccino in mostra al Festival dei due mondi di Spoleto

Si sta svolgendo a Spoleto presso Casa Menotti, in concomitanza con la 56^ edizione del Festival dei due mondi, una mostra di sculture dell'artista orvietana Sara Spaccino, che resterà in allestimento fino al 14 luglio. Si tratta di un suggestivo allestimento degli ormai noti lavori in tufo di Sara, che ha come sfondo, insieme ad altri eventi, le sale dello storico palazzo dove il Maestro Giancarlo Menotti ha vissuto e che, acquistato e restaurato dalla Fondazione Monini, dal 2011 è sede del Centro di Documentazione del Festival.

Sara Spaccino, che fin da giovanissima ha cominciato a lavorare i materiali della sua terra, scolpendo legno, pietra e in particolare tufo, è un'artista in crescita, che si sta sempre più affermando nel panorama artistico di Umbria e Lazio, con almeno una decina di mostre allestite negli ultimi due anni tra Orvieto, Montecchio e Bolsena. Il meritato approdo a Spoleto segna un ulteriore riconoscimento per questa artista che si muove tracciando percorsi di grande suggestione e incanto, offrendo a chi guarda una scrittura che parla la lingua del sogno, dell'inconscio della materia, della natura intatta che incontra la forma.

"I legni, i tufi, i colori - ha scritto della sua espressività artistica Raffaella Zajotti - chiedono immagini per esistere, come grandi corpi, volti, rapaci imponenti che prendono forma, come sogni della materia; a volte diventano veri e propri oggetti magici, come il bastone incastonato, o animali, esseri fatati, fauni, ninfe. Non è un caso che il rapace sia una figura ricorrente nell'opera di Sara, rappresentazione dell'artista che guarda oltre, mentre sorvola l'apparenza, con una lungimiranza che gli viene dall'istinto, dall'amore, dalla natura, dalla materia, quello stesso che muove l'artista a comporre con la forza della necessità e della naturalezza di una ricerca iniziata e portata avanti da autodidatta. L'uso del tufo, un materiale così terrestre e respingente, morbido nell'incontro con le mani, polveroso, storico, orvietano come Sara eppure galattico, potrebbe appartenere a qualsiasi universo. È fragile il tufo, fragile eppure pesante, ambivalenza che riconosce il suo equivalente in una metafora della condizione umana. Nel mondo di Sara la figura femminile domina come una sovrana dormiente, ed è rappresentazione di se stessa e della sua delicata interiorità, del rapporto con la natura e la sua storia che è proprio del femminile che da sempre ne conosce l'interna vita, il ciclo della sua rinascita, e la natura rappresenta uno specchio del femminile così come il femminile conosce il segreto della nascita, della crescita, un segreto fatto di terra e di silenzio, iscritto nel legno, nei volti dormienti, nel grido delicato di un'appartenenza. È quel silenzio, quella passività efficace, quell'ascolto della natura così attento e discreto, che concede alle forme di nascere, a volte anche solo da uno sguardo ad un legno, una pietra, che sa vederne la forma potenziale, senza alcuna violenza sul materiale, e la bellezza che riesce a vedere la enfatizza con un colore più caldo, più freddo, con una luce più profonda, un'incanalatura, un rilevo. Il materiale esiste da prima di noi, ed è testimone silente del mondo e dei suoi esiti: è la storia iscritta nelle cose che Sara porta alla luce, per raccontare la sua storia, la nostra storia. Nel tufo portatile è ancora il tufo, che informa grandi blocchi geometrici da cui nascono viventi umani portatili e sofferenti, schiacciati alla genesi prima ancora di aprire gli occhi, e trasportati dalla realtà in chissà quali meandri, con pratiche maniglie di ferro. Il tufo portatile è la continuazione postmoderna della poetica di Sara che trova nella narrazione della condizione umana un riscontro così perfetto da suggerire una straordinaria continuità col percorso precedente, con la nota di un'ironia tragica delicata e graffiante".