cultura

Un ricordo di Emilio Greco

lunedì 24 giugno 2013
di Cristina Trequattrini
Un ricordo di Emilio Greco

Il legame di Emilio Greco con la città di Orvieto si instaurò a partire dall'annosa vicenda delle porte del Duomo, che, a lui commissionate nel 1962, non ottennero mai l'approvazione unanime degli esperti del settore e sostarono appoggiate all'interno della cattedrale fino al 1970, pur essendo terminate già nel 1964: la polemica nacque allora, come potrebbe nascere ancor oggi qualora si decidesse di accostare qualcosa di nuovo a qualcosa di antico, come dando per scontato che tutto rimanga statico, sempre uguale a se stesso; ma non è così... il Duomo è a tutti gli effetti il risultato di una stratificazione di secoli di arte e di storia, è un compendio, è come un libro che ci può raccontare una vicenda che abbraccia più di 720 anni... quindi, viene da chiedersi, perché mai non dovrebbe contemplare anche un'opera novecentesca?
Fu così che durante la notte tra il 10 e l'11 agosto del 1970, furono incardinate dopo sei anni di attesa le ante delle porte, quasi a voler festeggiare con questo evento l'anniversario della festività del Corpus Domini, istituita l'11 agosto 1264.

Il fatto di aver realizzato una delle sue commissioni religiose più importanti per la nostra Orvieto, ma ancor più l'esservi chiamato ad esporre nel 1980 nell'ambito di una mostra antologica a lui interamente dedicata, fece nascere nella mente dell'artista l'idea di donare una collezione di sue opere alla città stessa: Emilio Greco tenne fede al suo proposito, ma vincolò la donazione stessa alla costituzione di un museo che la esponesse in piazza Duomo, proprio in quel contesto che è esso stesso un museo a cielo aperto e che ospita le sue porte.

Da quella sua richiesta scaturirono nuovi problemi: non era facile per il Comune riuscire a trovare una sede adatta a contenere i suoi lavori proprio in un'area della città così ristretta, in cui i contenitori architettonici avevano già assegnato un loro preciso utilizzo, ma, d'altra parte, come rifiutare la donazione di un artista?
Il 29 giugno 1991 fu inaugurato il museo Emilio Greco che trovò poi la sua collocazione al piano terra di Palazzo Soliano e prese vita da un accordo tra il Comune di Orvieto e la Società Artesia del Gruppo Jacorossi, la quale si assunse l'onere gestionale del museo nascituro, ma in cambio chiese ed ottenne anche la gestione del Pozzo di San Patrizio. Il Comune aveva posto come condizione che venisse assunto personale del luogo ed aveva perciò provveduto a formarlo attraverso un corso per Animatori del Patrimonio Artistico e Culturale.
Dopo alcuni mesi di lezioni teoriche ci apprestavamo, io ed altri giovani, ad allestire il museo, un percorso espositivo con una concezione all'avanguardia per l'epoca, studiato dall'Architetto Giulio Savio, che avrebbe ospitato le 32 sculture e le 60 opere grafiche dell'artista catanese.

Fu un onore per noi conoscere l'artista, ascoltare i suoi racconti di un passato per certi versi avventuroso, far tesoro delle sue esperienze, facendoci coinvolgere dal ricordo della sua infanzia, che portava a credere che tutto è possibile, soltanto se lo si desidera fortemente. Lui che da piccolo era stato costretto a disegnare di nascosto dal padre (il quale non voleva facesse l'artista) e che aveva rinunciato talvolta alla colazione per acquistare carta e matite, lui che a tredici anni fu costretto a lasciare la scuola e per mantenersi andò a sbozzare angeli presso uno scultore di monumenti funerari.

Oltre a raccontarsi a noi giovani che ci accingevamo a lavorare in quel luogo, preparò con noi ogni cosa, scelse ogni particolare: decise come disporre il materiale editoriale, che esposto in bacheca doveva ripercorrere la sua carriera, stabilì come dovessero essere orientati i faretti per creare giochi di luce con le opere plastiche e ci insegnò a lucidare queste ultime con la lana di acciaio per far sì che potessero avere zone d'ombra opache e zone lucide sulle quali far riflettere la luce.
Il ricordo che porterò sempre con me di quei giorni così emozionanti è il vederlo disegnare con la china: la sua abilità lo portava a delineare figure con pochi segni, in maniera molto veloce, che poi rendeva tridimensionali con un fitto tratteggio incrociato e, sebbene la sua tecnica sembrasse a noi una cosa perfettamente naturale, ci spiegò che niente nasce per caso, ma è frutto di uno studio profondo e di una costante applicazione.

Chi non tiene in considerazione le sue commissioni pubbliche a carattere religioso o il Monumento a Pinocchio nel parco di Collodi o la medaglia coniata nel 1960 per le Olimpiadi di Roma, gli imputa una certa monotonia e ripetitività del soggetto femminile, riproposto nella scultura come nelle opere grafiche: lui a ciò rispondeva "cosa c'è di più bello da rappresentare delle linee sinuose di un corpo femminile nudo?"

Non è un caso che Emilio Greco assommi in sé la scultura e l'arte grafica, ciò che tiene insieme questi due aspetti è un forte interesse per la resa volumetrico-spaziale delle forme che lo accomuna ad artisti come Marino Marini e Giacomo Manzù. Nell'arte contemporanea europea ed italiana c'è un grande ritorno all'espressione grafica, al recupero di tecniche formali antichissime quali il segno inciso ed il graffito: in questo periodo non si scavano superfici di pietra come in epoca preistorica, bensì lastre di rame, che opportunamente preparate saranno erose, là dove la punta ha lasciato la sua traccia, dall'azione dell'acido.
Già nel Cinquecento era stato teorizzato dallo Zuccari l'esistenza di un disegno interno o concettuale svincolato da un disegno esterno, preparatorio alla pittura. La diffusione della stampa ha reso finalmente possibile una maggiore diffusione dell'opera grafica, ma il fatto che l'opera dell'artista si concentri soltanto sulla preparazione della matrice non deve indurci a sminuire il suo apporto: l'incisione del metallo o l'uso della matita grassa nella litografia richiede altrettanta maestria che l'uso dello scalpello nello scolpire la pietra.