cultura

La via si fa uomo. Tra idillio e memoria ArTè restituisce un intenso Angelo Costanzi alla città

venerdì 26 aprile 2013
di Laura Ricci
La via si fa uomo. Tra idillio e memoria ArTè restituisce un intenso Angelo Costanzi alla città

Fino a qualche tempo fa, proprio come è scritto nel testo teatrale di Giuseppe Baiocco, Angelo Costanzi a Orvieto era, per i più, solo una via: la lunga dritta via che, costeggiando la ferrovia e il Paglia, arriva al casello dell'autostrada. Per quella distrazione propria dei nativi e dei residenti, abituati a percorrere le strade più che a interrogarsi sulla toponomastica, pochi sapevano chi Angelo Costanzi fosse. Quest'anno, fortunatamente, più di un'operazione di omaggio e di conoscenza ha restituito alla memoria orvietana uno dei suoi figli: un tassello prezioso, che aiuta a ricordare chi, a Orvieto, scrisse qualche pagina della resistenza politica al fascismo e, per estensione, della costituzione repubblicana. Prima, in occasione del 29 Marzo - che a Orvieto segna la ricorrenza dei sette martiri di Camorena - l'apposizione di una pietra d'inciampo davanti alla sua casa di Via dei Magoni 20; poi, in questo 25 aprile 2013, lo spettacolo allestito e prodotto per il Teatro Mancinelli da ArTé Stabile di Innovazione, "Trilogia del mondo storto. Atto primo. Frammenti d'un mosaicista morto dal freddo". Perché Angelo Costanzi, figlio di Costanzi Ulisse e di Montanucci Giuliana, nato a Orvieto nel 1908,  mosaicista dell'Opera del Duomo, fu arrestato nel dicembre del 1942 a Roma dove era andato a svolgere la sua attività di dissidente politico, liberato nel luglio del '43 ma di nuovo arrestato per aver ripreso l'attività antifascista con il gruppo che faceva capo al giornale "La Scintilla". E questa volta per lui ci fu l'internamento nel freddo remoto campo di Mauthausen. Il 13 gennaio 1944 passò per l'ultima volta davanti alla sua città natale col treno che lo trasportava in Germania, dove morì, "bruciato come un tizzone secco" nel forno crematorio, il 28 aprile dello stesso anno. 

L'intenso monologo, scritto da Giuseppe Baiocco a partire da tre lettere di Costanzi conservate nell'archivio del recentemente scomparso Giulio Montanucci, tiene avvinti gli spettatori per circa un'ora, direttamente sul palco per meglio assecondare una stretta empatia. E Angelo Costanzi è lì, interpretato efficacemente e con eccellente sobrietà da Andrea Brugnera: nessuna concessione retorica, Costanzi non è un eroe, ma un uomo comune che tra le occupazioni quotidiane non può fare a meno di pensare, un autodidatta che, nel suo semplice tran tran di provincia, entra in contatto con il pensiero politico del suo tempo. Una figura coerente, determinata, e tuttavia con le sue debolezze, i suoi dubbi, i suoi tentennamenti, le sue fragilità. Viene sacrificato ai suoi ideali, ma senza alcuna adesione alla benché minima propaganda di maniera, teso piuttosto al filo ormai dimesso, eppure sottile tenace della vita. La vita per il carcerato Costanzi sono i sogni, i volti e le scene familiari che li animano, non la stanca routine della prigionia politica; sono i ricordi della sua buona terra di campagna. Che si fa amicizia, vino, sapori nel rammentare certe animate merende a Canonica, tra cibi genuini e dissertazioni politiche; che diventa elegia struggente nel pugno di terra patria che il padre gli consegna e che Costanzi porta con sé nella gelida terra di Mauthausen. Ad aggiungere pathos alla storia giocano egregiamente le immagini visive di Massimo Achilli e le luci di Roberto Rocca, e si rivela determinante la fisarmonica di Sandro Paradisi, che intermezza il racconto di frasi musicali di intensa coinvolgente suggestione. Attesa, ansia, impotenza, sfinimento, nostalgia: alla musica è affidato quanto di più oscuro e drammatico la parola non dice.



Non diremo mai grazie abbastanza a Maurizio Panici, cui si deve la regia e l'ideazione dello spettacolo, per averci restituito questo tassello di memoria cittadina, operazione di cui si dice felice e orgoglioso; e a Giuseppe Baiocco, autore del testo, per averla raccontata. Non nuovo a queste importanti restituzioni storiche - di lui ricordiamo anche "Il Cambusiere", spettacolo che tratta la storia di Igino Gini, cuoco di Acquapendente che fu protagonista fra il 1899 e il 1900 della spedizione al Polo Nord diretta dal Duca degli Abruzzi Luigi Amedeo d'Aosta - Baiocco si appresta a vedere presto in scena, l'8 giugno sul sagrato del Duomo di Orvieto, il suo adattamento del "Miracolo de lo Sacro Corporale", tratto dal Dramma Sacro di anonimo del 1300 già rielaborato nel 1951 da Ferdinando Tamberlani e D.Titta Zarra.

È un buon momento per Giuseppe R. Baiocco