cultura

"Chiese di Orvieto" di Aldo Lo Presti. Un volume per scoprire le chiese di Orvieto. Soprattutto quelle dimenticate

martedì 2 agosto 2011
"Chiese di Orvieto" di Aldo Lo Presti. Un volume per scoprire le chiese di Orvieto. Soprattutto quelle dimenticate

Nella storia in generale, ed in quella dell'arte in particolare, spesso ha giocato un ruolo fondamentale il Lete, il fiume dell'Oblio che irriga il Paradiso Terrestre e che a volte impedisce di godere di quella gran varietà di fiori dei quali - parafrasando Dante - son colme le sue sponde.

Ma accade, talvolta, che qualcuno fra questi fiori, magari il più dimenticato, riacquisti la sua perduta visibilità. Così è stato possibile, grazie alle virtù dell'altro fiume paradisiaco, l'Eunoe, in grado di ridonare la Memoria, restituire alla luce opere o artisti destinati, altrimenti, a rimanere soltanto poveri 'nomi'.

Allo stesso modo, quindi, della fortunata riscoperta dell'autoritratto di Cesare Fracassini e dell'allegoria del tricolore, entrambi dipinti nel sipario del nuovo teatro comunale, o della nuova cronologia di Cesare Nebbia, sue ri-scoperte recenti, l'autore (Aldo Lo Presti), nel volume che presentiamo dedicato alla Chiese di Orvieto, ha la possibilità di dar conto non solo dei componenti della nutrita squadra che nel 1846 diede forma al celeberrimo Cenacolo della Palombella (che ancor oggi, e nonostante un accurato restauro, si dice del sec. XVIII) ma soprattutto di uno tra i più importanti quadri orvietani sopravvissuto (è il caso di dirlo) miracolosamente all'incuria del tempo e degli uomini e ritrovato con emozionato stupore da Aldo Lo Presti nella sacrestia di destra della chiesa di San Francesco (dopo che non molto tempo fa, quella di sinistra aveva regalato, sulle tracce però non proprio inedite del Perali, altri dimenticati dipinti) raffigurante la Sacra Famiglia, Santa Lucia ed un Angelo colto nell'attimo di donare a Dio la 'città guelfa'.

Il dipinto è l'unico sopravvissuto tra quelli che l'antica devozione degli orvietani a Santa Lucia (nutrita di riconoscenza verso colei che fu definita la Liberatrice di Orvieto essendo stata testimone, nei giorni della sua festa, dello scampato pericolo dalla minaccia ghibellina e poi della defenestrazione del tiranno Gentile Monaldeschi) suggerì di far realizzare raffigurandola mentre offre alla protezione del Signore l'immagine della città, iconografia questa (pur nella variante indicata) che per Orvieto rappresenta una vera, assoluta, rarità. E certamente, in virtù dell'indubbia importanza storico/artistica, l'opera meriterebbe un pronto restauro ed una sua più autorevole valorizzazione.

Così come andrebbe restaurata, senza perdere ulteriore tempo, l'opera d'arte sacra più importante del novecento orvietano, quel Sacro Cuore di Gesù che, alla fine degli anni '30, un'allora lungimirante (ed al passo coi tempi) committenza parrocchiale fece realizzare al futurista Alessandro Bruschetti, altra opera pregevole su tavola che va però malinconicamente deteriorandosi, tra l'indifferenza generale ed alla mercè di possibili spregiudicati collezionisti, nella chiesa di San Lorenzo dè Arari. Si citano, infine, gli altrettanto pregevoli Crocifissi di Carta, per usare le parole di San Carlo Borromeo, che da secoli si conservano nei mobili confessionali di numerose chiese orvietane, in primis in quelli più antichi della basilica cattedrale di Santa Maria Assunta in Cielo.