cultura

Femminismo: a che punto siamo? Le domande cruciali in “Care ragazze” di Vittoria Franco

lunedì 13 dicembre 2010
di Ornella Cioni
Femminismo: a che punto siamo? Le domande cruciali in “Care ragazze” di Vittoria Franco

Si tratta di un agile e prezioso manuale, rivolto idealmente alle allieve dell'autrice e alle giovani generazioni, ma è un ottimo promemoria anche per tutte coloro che sono state protagoniste o testimoni attente di tante tappe delle lotte per i diritti delle donne, che vengono qui citate. Tali snodi ci appaiono così collocati in una prospettiva, che naturalmente li semplifica, ma contemporaneamente dà il senso della profondità del tempo che passa e della sua inesorabile opera di setaccio, per cui molto si perde, ma sicuramente resta qualcosa di irrinunciabile, prezioso e irriducibile. Ci rendiamo conto di come alcuni passaggi ed elaborazioni del nostro recente cammino di libertà siano ormai metabolizzati e appaiono come punti di non ritorno, sebbene l'autrice costantemente ci avverta che nella storia anche i guadagni più preziosi si possono perdere se non si è sempre consapevoli, vigili e attive/i.

Nella prima parte del suo lavoro la Franco, giustificando la necessità di un testo come "Care ragazze", inquadra molto chiaramente la situazione attuale e l'impasse in cui le donne oggi si vengono a trovare per la multiforme capacità della politica di produrre sempre una diversa e nuova opposizione al loro cammino di libertà.

Segue poi un agile e necessariamente parziale excursus storico che fissa alcune teorizzazioni e nomina alcuni personaggi fondamentali sia per la negazione che per l'affermazione della condizione di cittadinanza delle donne. L'autrice parte da un riferimento ad Aristotele, IV sec. a.C., che riteneva di dover escludere le donne dalle attività pubbliche perché esseri per natura inferiori. Cita poi Rousseau, che definisce teorico dell'esclusione delle donne dalla cittadinanza, poiché stabilisce nell'Emilio la dicotomia tra pubblico e privato come il limite necessario e irrinunciabile per cui l'uomo è cittadino e la donna moglie e madre, pena il disordine sociale. Ci ricorda affermazioni come quelle di Rousseau secondo le quali alle donne appartiene solo una ragione pratica, non creativa o quelle di Kant che sostengono che solo agli uomini appartenga un'intelligenza profonda, mentre le donne avrebbero un'intelligenza bella, per cui il sapere per loro dovrà essere soltanto un ornamento. Sono tali idee che hanno offerto la base per tentativi di legiferare l'illegiferabile, come il Progetto di legge per vietare alle donne di imparare a leggere di Sylvaine Maréchal nel 1801. A tale deriva si sono opposte nel Settecento Olympe de Gouges, Mary Wollstonecraft, nell'Ottocento Harriet Taylor e le tante donne che hanno lottato e contribuito a creare un fecondo pensiero femminile particolarmente negli anni '70 del Novecento. Punti focali sono Luce Irigaray, Carol Gilligan, il pensiero della differenza, ma anche l'inno alla libertà di Hannah Arendt.

L'autrice costruisce il suo discorso storico-politico intorno ad alcune parole chiave e fornisce così anche alle giovani ragazze e a tutte noi le parole per tessere oggi una trama interpretativa della realtà attuale e per fissare i nostri prossimi obiettivi di impegno e di lavoro politico. Dapprima ci consegna: eguaglianza e differenza, libertà, potere, laicità, corpo, ma dalla riflessione sulla libertà femminile intesa come autonomia, cioè "darsi da sé la legge", scaturiscono le parole limite e responsabilità. Citando Max Weber ci aiuta a ricordare la distinzione tra etica dei principi ed etica della responsabilità per indicarci come traguardo l' "etica del legislatore", fondata su responsabilità e ragionevolezza, principi che ci suggeriscono "di non assumere la propria coscienza come unica ed esclusiva ispiratrice dell'azione legislativa e di anteporre alle proprie convinzioni etiche o religiose la vita e il vissuto delle persone concrete in uno spirito di ospitalità e di servizio per l'intera collettività". Questa la strada per uscire dalla vera e propria "emergenza etica" in cui ci troviamo, per ridare il giusto spazio alla laicità e sbloccare la strada al processo di modernizzazione del paese, inteso come dinamismo economico e sociale, accompagnato da un ampliamento della sfera dei diritti e delle libertà personali, nonché da un welfare più diffuso.

Chiare ed esplicite le domande che l'autrice pone di tanto in tanto nel testo per focalizzare l'attenzione sulle questioni essenziali. E' esagerato sostenere che ...sono in atto comportamenti che spingono nella direzione di un rinnovato ritorno al passato attraverso un sofisticato controllo del corpo femminile? C'è oggi nelle istituzioni civili e politiche un appropriato riconoscimento della soggettività femminile? Quali sono le condizioni per cui coincidano libertà e politica? Qual è il senso della politica? Come si fa a legiferare tenendo fede al pluralismo, cioè senza imporre un solo punto di vista e un' unica concezione del bene? Solo per citarne alcune.

Nel penultimo capitolo torna la parola chiave già presente nel primo: democrazia paritaria, intesa innanzitutto come condivisione dello spazio pubblico da parte dei due generi, qualcosa che va oltre il concetto universale di uguaglianza ( che pure è il principio fondativo della democrazia) e che è ciò per cui ci invita a lavorare in futuro. Le parole che vi si associano allora sono "condivisione di lavoro e famiglia" , " cooperazione fra uomini e donne nella costruzione delle istituzioni della democrazia".

Come sempre un groppo ci stringe la gola, rabbia e commozione per chi ha lottato prima di noi e per noi, quando leggiamo la breve cronologia dei diritti delle donne che chiude il libro insieme al promemoria di "Ciò che sarebbe necessario, ma ancora difficile da far passare".

(Vittoria Franco, Care ragazze, Donzelli 2010. Euro 16.00)