cultura

Fiumi sacri e sacre città. Indologi e studiosi a confronto ai limiti della Scarzuola

lunedì 4 maggio 2009
di laura
Fiumi sacri e sacre città. Indologi e studiosi a confronto ai limiti della Scarzuola

Il lungo ponte del primo maggio è stata l'occasione per un interessante confronto su alcune civiltà orientali tra studiosi di grande spessore convenuti, per una conversazione, nel territorio di Montegabbione. Particolare la cornice, a breve distanza dall'ormai celebre complesso della Scarzuola: il Podere Pantano di Nicola Dal Falco, giornalista e poeta, che in veste di amabile e colto mecenate ha offerto, nel verdissimo ventilato silenzio della campagna umbra, un habitat particolarmente favorevole alla riflessione e allo scambio. Ospiti ognuno più eccezionale dell'altro che, dopo essersi incontrati per la prima volta a Venezia al Dipartimento di Studi Eurasiatici di Ca' Foscari in occasione di un Convegno sui Fiumi sacri (Fiumi sacri, corsi celesti e correnti sotterranee: le acque animiche nel macrocosmo e nel microcosmo, 9-10 ottobre 2008), hanno sentito il bisogno di reiterare e approfondire una condivisione di interessi e di esperienze in vista di percorsi di ricerca comune.

Tra i partecipanti, come conduttore del gruppo il Professor Gian Giuseppe Filippi, Ordinario di lingua e letteratura hindi all'Università Ca' Foscari di Venezia e Presidente della Venetian Academy of Indian Studies, inoltre altri autorevoli studiosi e studiose: come Pietro Mander, assiriologo, Ulrike Kindl, germanista, Grazia Marchianò, orientalista e docente di estetica comparata, vedova di Elémire Zolla, Ester Bianchi, sinologa, Jolanda Capriglione, grecista, Gianni Pellegrini, sanscritista, Stefano Beggiora, antropologo, Maurizio Verardo, indologo, Fabian Sanders, tibetologo, Andrea Janaccone, latinista, Guido Zanderigo, segretario VAIS; a loro si è aggiunta, ospite d'onore dell'incontro, Alessandra Cannistrà, storica dell'arte e curatrice del Museo dell'Opera del Duomo di Orvieto.

Singolare, tra tutte, la figura di Gianni Pellegrini, che oltre ad essere specializzato in Lingua e letteratura sanscrita all'Università di Venezia, ha seguito ulteriori corsi di questa specializzazione all'Università di Benares, dove ha raggiunto il titolo di Grande Maestro. Spiega che è un corso di studio di dodici anni - chi fa meditazione non può avere fretta - ma che grazie alla sua laurea a Ca' Foscari ha potuto abbreviarlo sostenendo alcuni esami di integrazione. Spiega anche che questa istituzionalizzazione del titolo di Grande Maestro è stata inevitabile con i processi di globalizzazione del sapere, ma che c'è una certa diffidenza da parte di molti esponenti della meditazione tradizionale autoctona, e che il titolo può ancora oggi essere acquisito fuori dalle università, approfondendo l'interpretazione dei testi ed esercitando la missione magistrale. Una missione che dall'estrema e oscura difficoltà delle formule in sanscrito si dispiega sempre con esempi molto quotidiani e corporei, che riescono a trasmettere la bellezza e la ricerca di senso non solo ai colti ma anche agli umili. Alcuni anni fa, nel corso di un viaggio di studio, Gianni Pellegrini è rimasto, come molti, folgorato dall'India e da allora è più il tempo che trascorre lì che quello che passa in Italia. "Non so bene perché - afferma - ma non potrei più vivere senza, anche se laggiù si devono affrontare esperienze spesso molto dure". Una nostalgia incurabile: l'India è così, o la si odia o non se ne può più fare a meno; nonostante.

Se nel convegno di Venezia l'acqua era stata il naturale sfondo, in questo incontro molto di terra, bene a contatto con il verdeggiare delle colline del suolo umbro, si è ancora dissertato, tra miti e riti, di come l'acqua, con il suo scorrere, sia divenuta simbolo del divenire, connotandosi di un valore temporale piuttosto che spaziale, di come il flusso si dispieghi nelle correnti celesti e di come, le stesse correnti fluviali che animano cielo e terra, trovino il loro corrispettivo nel corpo umano, dove i flussi sanguigno e linfatico vanno a formare laghi di lacrime, bile, muco, liquido seminale. Ma dalla complessa e affollata sacralità dei grandi corsi d'acqua - dimore di defunti, demoni, mostri, meta di pellegrinaggi e di riti di purificazione - procedendo in un'intensa giornata di conversazioni, ci si è informalmente ma non meno maestosamente inoltrati verso il grande fiume Oceano, con l'intenzione di ripetere l'esperienza del comune, informale incontro per procedere verso nuovi e più vasti orizzonti liquidi, altrettanto carichi di ritualità e profondi significati.

Al tempo stesso, l'Umbria così carica di arioso misticismo e di robusta vulcanica fisicità, ha ispirato ai nostri studiosi la suggestione della sacralità delle pietre, delle epigrafi e delle città, tanto che è nata l'idea di ricercare un contatto con il nostro territorio per affrontare il tema della città sacra. A ispirarlo il fascino misterioso e sempre d'effetto della ricerca del Fanum Voltumnae, peraltro così diverso dalla lenta, contemplativa ritualità dell'Oriente: piuttosto la carnale ritualità e il fervore politico ed economico della lega delle dodici città etrusche, che al Fanum convenivano sì per tenere feste religiose, ma anche per eleggere, deliberare, intessere alleanze, relazioni e affari.

In ogni caso l'esperimento del singolare incontro tra dotti, un vero e proprio cenacolo, è perfettamente riuscito e ha suscitato il desiderio di una ripetizione dalla nuova formula. Belli e apprezzati il contatto con la natura, l'atmosfera informale e forse proprio per questo ancor più concentrata e densa, il misurarsi della mente a stretto contatto con una corposa, naturalistica creaturalità.

E sull'onda dell'acqua che scorre e non è mai la stessa, delle più arcaiche simbologie e dei rituali di iniziazione e purificazione, il breve contatto culturale non poteva concludersi in altro modo che con un pellegrinaggio alla vicina Scarzuola, l'ideale città dell'architetto Tomaso Buzzi affidata, in una sorta di strutturale vanitas, al giardino che muore e mutevole rinasce, al progetto volutamente inconcluso, alla promessa di deperimento del morbido fragile tufo. Là ove tutto sottintende un itinerario elitario di diversità e, attraverso la visione estetica e il distacco dal quotidiano, un originale viaggio iniziatico. Lì dove il giardino, con le sue presenze di acqua e di verzure, costituisce un percorso preparatorio che dal fuori immette nella Città, nel dentro da conoscere e decifrare. Nel Teatro del Mondo dove tra il proliferare di simbolici ornamenti veglia e ricorre Cronos, il terzo occhio, finestra dell'anima, emblema di ricognizioni introspettive e di un senso ulteriore che vede oltre lo sguardo terreno.