cultura

Orvieto per Gaza, bilancio delle iniziative sostenute. La testimonianza di Meri Calvelli

venerdì 6 marzo 2009
di Comitato cittadino antifascista

Finita l'emergenza dei bombardamenti che hanno raso al suolo la Striscia di Gaza, il silenzio è nuovamente sceso su quel fazzoletto di terra e su quel milione e mezzo di persone che continuano ad essere rinchiuse in quella che è stata più volte definita " una prigione a cielo aperto". Anche ieri una delegazione italiana di cui faceva parte anche la Tavola della pace, e la carovana britannica chiamata la Linea della vita, sono state bloccate al valico di Rafah, mentre si registrano strani movimenti di truppe israeliane al confine.
Sulla scia dell'emergenza, tuttavia, c'è da registrare la solidarietà dei cittadini di Orvieto legata a due momenti importanti: la partecipazione in massa alla maratona Orvieto per Gaza realizzata grazie alla collaborazione di diverse realtà confluite nel Coordinamento orvietano per la Palestina, il 18 gennaio e la Cena a sottoscrizione del 14 febbraio che ha permesso di raccogliere 1.750 euro da destinare interamente all'azione umanitaria e di sostegno che la ONG Crocevia porterà avanti nella Striscia, in termini di aiuto alle strutture e al personale medico locale, ma anche alle attività agricole gravemente danneggiate dai bombradamenti e per le attività di sostegno psicologico alla popolazione locale.

La delegazione italiana che era partita dall'Italia il 27gennaio e arrivata a Gaza solo il 29, ha fatto ritorno alla metà di febbraio. Alla guida di quella delegazione c'era Meri Calvelli, cooperante per Crocevia, e che Orvieto ha avuto modo di conoscere già nell'ambito della maratona del 18 gennaio.

La sua testimonianza rappresenta un prezioso contraltare al marasma della disinformazione ufficiale. La delegazione era composta anche da medici, rappresentanti di enti locali e giornalisti, in particolare gli inviati di Peacereporter e di Rai3 ( domenica 8 marzo Presa diretta andrà in onda con il reportage girato da quei giornalisti e che di seguito, invece trovate come testimonianza).


LA TESTIMONIANZA

La delegazione parte dall'Italia il 27 gennaio. Arrivati al valico di Rafah ecco presentarsi le prime difficoltà: un fax che non arriva, la titubanza della Farnesina e l'egiziano al confine che continua a rispondere al telefono proprio impedendo l'arrivo di quel fax che è il lasciapassre.
I nostri passano con il loro carico di medicinali e attrezzature sanitarie solo alle 21.00 (il valico dovrebbe essere chiusa già da 4 ore), dall'altra parte sono già in attesa.

La distruzione è la cifra prevalente: case, campi coltivati, infrastrutture, ambulanze, moschee. "Hanno proseguito con i bombradamenti anche mentre stavamo dentro" racconta Meri.
Tutto raso al suolo o quasi. La zona maggiormente colpita è quella che si trova a Nord e che, teoricamente, avrebbe dovuto essere anche la parte più immune, perchè quella "non è zona di Hamas né di Moschee, ma una semplice zona residenziale abitata anche da famiglie vicine a Fatah".

"La gente continua a rimanere vicina alle macerie della propria casa, non riesce ad allontanarsi, quelli un po' più fortunati trovano ospitalità a casa di amici o parenti ancora in vita e la cui abitazione non è stata gravemente danneggiata."
Il quadro più desolante è dato proprio dall'incontro con la popolazione, con i feriti o con chi ha perso l'intera famiglia sotto le bombe. " Abbiamo trovato tantissimi feriti con amputazioni...". Del resto, data la penuria di medici e strutture ospedaliere e la fretta di lasciare lo spazio nelle corsie a centinaia di altre emergenze, quello dell'amputazione è risultato il metodo più veloce ed efficace per salvare il maggior numero di vite possibile. I medici non erano preparati a quanto sarebbe successo, come non erano preparati all'uso di armi non convenzionali.

"Loro- continua Meri- non sapevano cosa fosse il fosforo bianco, né come bisognasse intervenire in casi del genere... succedeva quindi che le bruciature di fosforo venissero curate come semplici ustioni e che il ferito ricominciasse a bruciare senza alcuna spiegazione. Lo hanno scoperto solo piu' tardi attraverso internet e poi in seguito, quando gli abbiamo portato il documento datoci dalle organizzazioni dei dirittti umani attive in Israele; hanno scoperto anche che i medici israeliani avrebbero potuto aiutarli ma non lo hanno fatto."
Sembra infatti che in seguito all'uso massiccio di fosforo bianco, vietato dalle convenzioni internazionali nei luoghi densamente popolati ( e la Striscia di Gaza lo è), l'esercito abbia distribuito alla popolazione israeliana un documento informativo sui comportamenti da tenere nel caso in cui Hamas avesse deciso di "restituire" ai legittimi proprietari le bombe al fosforo cadute su Gaza e rimaste inesplose: "Camminando per la Striscia è possibile vedere ovunque i residui delle esplosioni al fosforo, pallette biancastre che bruciano a contatto con l'ossigeno, abbiamo trovato anche bambini che ci giocavano... e anche molti proiettili rimasti inesplosi."

Accanto al fosforo sono state usate le DIME, armi di ultima generazione, già precedentemente sperimentate, in grado di amputare e cicatrizzare allo stesso tempo a causa del calore elevato che sviluppano i frammenti metallici di cui sono composte.

E anche qui, l'inevitabile e drammatica impreparazione del personale medico locale.

Una realtà che è stata interamente ripresa e documentate dai giornalisti che viaggiavano con la delegazione italiana e che consente di capire perchè da più parti si chieda il deferimento di Israele alla Corte penale internazionale per crimini contro l'umanità.

Le immagini sono tutte accompagante dalle testimonianze di quanti sono sopravvissuti, accanto a questi, poi, i filmati realizzati da operatori palestinesi ( altra testimonianza che sarà presto a disposizione del pubblico), occhio puntato sugli attacchi incrociati e sulle 4.000 bombe piovute durante i primi 10 minuti dell'attacco.

Il silenzio dei media non significa che adesso le cose vadano meglio.

Nonostante i proclami l'esercito continua ad usare le armi: i bersagli migliori sono pescatori e contadini, rei di allontanarsi troppo o di provare a riprendere una vita "normale".
"I valichi sono aperti solo per il passaggio di aiuti umanitari e nient'altro e solo per tre giorni a settimana; nella Striscia manca il gas, l'elettricità per non parlare dei materiali per la riscotruzione."

La popolazione affida ai nostri connazionali una richiesta di aiuto. "Occorre adesso tornare a dare sostegno al settore agricolo e rinsaldare le strutture e il personale medico, ma occorre soprattutto consentire alla popolazione della Striscia di uscire dall'incubo favorendo spazi di socializzazione e ricreazione, magari con il supporto delle ONG e della società civile internazionale."

Il timore di una nuova escalation militare per il momento appare fugato, causa l'incertezza dell'attuale quadro politico israeliano e i recenti accordi tra Hamas e Fatah...

La ricostruzione sarà lunga e difficile.

Impossibile, finchè Israele non deciderà di revocare l'assedio ancora vigente.

Alla luce di quanto detto finora, il Comitato cittadino antifascista rinnova l'invito al Coordinamento orvietano per la Palestina e alla cittadinanza, a voler continuare nell'azione di "contro-informazione" iniziata con la maratona e si propone già nei prossimi mesi di avviare una serie di iniziative volte al sostegno di progetti di ricostruzione nella Striscia.