cultura

Sintesi degli interventi programmati del recente convegno sul PAAO

domenica 23 novembre 2008
di Ufficio Stampa Comune di Orvieto
L'Assessore alla Cultura del Comune di Orvieto, Giuseppe Maria Della Fina ha ripercorso la storia del Parco Archeologico aprendo il suo intervento con una descrizione di Orvieto tratta da The Cities and Cemeteries of Etruria di George Dennis, opera pubblicata in prima edizione a Londra nel 1848, che costituisce un classico dell’etruscologia e documenta adeguatamente lo stato della ricerca sul passato di Orvieto alla metà dell’Ottocento quando si discuteva ancora sull’etruscità o meno del sito. “Nell’efficacia descrittiva (l’autore era un archeologo, ma anche uno scrittore) del quadro delineato – ha detto - ci sono già tutte le ragioni per realizzare un parco archeologico e ambientale nell’Orvietano. Occorre ricordare che Dennis giunse in città provenendo da Bagnoregio ed ebbe modo di annotare: ‘la prima vista di Orvieto da questo lato è una delle più maestose d’Italia. La strada che, per la maggior parte del suo cammino è pianeggiante e completamente spoglia, conduce inaspettatamente all’orlo di un dirupo, dove di colpo balza agli occhi una scena stupenda e tale da far dimenticare ogni disagio. Dal centro dell’ampia e profonda vallata ai miei piedi sorgeva, a due miglia di distanza, un pianoro isolato, somigliante a un tronco di cono, incoronato dalle torri di Orvieto. Il cielo era coperto di nubi, l’atmosfera era densa di vapori e mancavano i colori brillanti del sole; tuttavia le grandi linee della scena erano visibili come in una stampa. Vi erano le pittoresche torri circondate da piccoli boschi sui pendii in primo piano – la lussureggiante vegetazione nella valle di sotto – il Paglia che vi serpeggiava, scavalcato da ponti – vi era l’ampia distesa della città, che spuntava dal suo trono di pietra, al centro della scena – lo sfondo degli Appennini che apparivano in lontananza attraverso vapori e nubi senza nulla perdere della loro altezza o sublimità’”. “La prima idea di realizzare un parco in Orvieto – ha proseguito - venne a un personaggio - Eugenio Faina – a cui l’archeologia orvietana deve molto. Egli, a seguito delle importanti scoperte che erano avvenute a partire dall’inizio degli anni Settanta dell’Ottocento nell’area di Crocifisso del Tufo, ebbe l’intuizione di fare acquistare nel 1878 quei terreni dallo Stato italiano così da poter lasciare in vista le vie sepolcrali che erano state riportate alla luce. Si venne a creare così – negli anni in cui il turismo muoveva i primi passi – un’area archeologica aperta al pubblico. Su questa scelta potrebbe avere influito Gian Francesco Gamurrini, uno dei maggiori archeologi del tempo e legato alle vicende orvietane. Un personaggio che aveva una visione avanzata della tutela e della valorizzazione del patrimonio archeologico italiano: si batté a lungo, ad esempio, per la creazione di musei decentrati nei centri maggiori dell’Italia centrale e per la realizzazione di una carta archeologica. Fu anche tra i primi sostenitori di una legge di tutela che arrivò nella realtà solo nel 1909 – ci prepariamo a ricordarne il centenario - con argomenti che seppure in una temperie diversa conservano la validità del loro monito: ‘Si emani finalmente una legge salutare, quale già fu per cura del Ministero da valenti uomini presentata, e quale Roma da secoli e la Grecia da molti anni promulgarono. Credo che l’onore d’Italia, della storia e dell’arte la richiedano urgentemente, e credo che si possa rispettare il diritto di proprietà anche col frenare un poco una cupidigia rapace ed un’ignoranza demolitrice’. Così scriveva sulle pagine della rivista ‘Nuova Antologia’ nel 1868”. “Una nuova attenzione per l’area della necropoli di Crocifisso del Tufo – ha aggiunto - si riscontrò negli anni Sessanta del Novecento in coincidenza con l’apertura dell’Autostrada del Sole e il conseguente inserimento di Orvieto in dinamiche turistiche di maggiore respiro. Venne realizzato un parcheggio a servizio dei visitatori ormai motorizzati e soprattutto ripresero gli scavi che portarono ad un ampliamento notevole dell’area aperta al pubblico. Nel 1969 la Provincia di Terni dette incarico alla Fondazione per il Museo ‘Claudio Faina’, istituita pochi anni prima nel 1957, di far redigere un progetto di massima per il parco archeologico di Crocifisso del Tufo. Lo studio venne portato avanti dagli architetti orvietani Alberto Stramaccioni e Glauco Provani e venne reso noto nelle sue linee generali in una pubblicazione del 1971. Da un convegno del 1981 – Orvieto. I luoghi della cultura - promosso dall’Amministrazione Comunale e che vide il coinvolgimento di settori importanti della cultura nazionale, scaturì l’idea di un parco archeologico che abbracciasse tutte le testimonianze della Orvieto etrusca e tenesse presente la realtà ambientale e paesaggistica. A quel progetto lavorarono archeologi e architetti: mi limito a ricordare, tra gli antichisti, Anna Eugenia Feruglio, Giovanni Pugliese Carratelli, Simonetta Stopponi, Francesco Roncalli e Mario Torelli. Il lavoro venne pubblicato in un agile volume corredato da tavole nel 1985. Nell’ambito dei lavori che si erano iniziati a svolgere per la difesa della rupe di Orvieto minacciata da frane, venne realizzato un nuovo progetto più articolato e soprattutto espressamente aperto alla realtà botanica e zoologica del territorio orvietano. I protagonisti principali di quella stagione furono Mario Torelli e Alberto Samonà che la illustrarono in un’opera – ‘La rupe di Orvieto. Un modello di parco ambientale’ – apparsa nel 1992 e articolata su due volumi di cui assunsero la cura. Gli aspetti giuridici del parco vennero esaminati da Bruno Cavallo. Il parco di Orvieto ampliava dunque i suoi orizzonti. Il progetto non riuscì comunque a decollare e nel 2001 si arrivò all’istituzione di un nuovo gruppo di studio (Claudio Bizzarri, Paolo Bruschetti, Carlo Cattuto, Carla Lodi, Rocco Olivadese, Simonetta Stopponi) dal cui lavoro scaturì l’idea di allargare sensibilmente l’area del parco ed arrivare a coinvolgere quasi l’intero comprensorio in piena sinergia tra gli aspetti archeologici e ambientali. Successivamente nel 2003 venne redatto un accordo di programma sul PAAO sottoscritto dai Comuni di Orvieto (capofila), Allerona, Baschi, Castel Giorgio, Castel Viscardo, Montecchio, Montegabbione, Parrano, Porano, San Venanzo; dalla Provincia di Terni e dalla Comunità Montana Monte Peglia e Selva di Meana. Nel 2004 si chiese l’approvazione di una legge regionale a favore del parco culturale denominato Parco archeologico e ambientale dell’Orvietano. L’ipotesi venne approvata dal Consiglio Comunale di Orvieto nella seduta del 28 gennaio”. “A partire da quegli anni - sono stati realizzati numerosi interventi nell’area del parco con fondi comunitari e regionali. Proprio lunedì scorso è stata approvata dal Consiglio Comunale di Orvieto la bozza di convenzione per la gestione dell’area del parco: si tratta di una struttura snella articolata in un’Assemblea degli Enti sottoscrittori (Comuni di Orvieto, Allerona, Castelgiorgio, Castelviscardo, Montegabbione, Parrano, Porano, San Venanzo; Provincia di Terni), in un Comitato d’indirizzo scientifico composto al massimo da 7 membri e in un coordinamento tecnico-amministrativo. È prevista la figura di un direttore. Nell’Assemblea figurerà anche la Regione dell’Umbria; nel Comitato d’indirizzo scientifico - anima del progetto - la Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Umbria. Nel mio intervento ho messo l’accento sul rapporto presente già nell’Ottocento tra parco e movimento turistico, se si vuole tra beni culturali ed economia, ma voglio concludere con una riflessione di Salvatore Settis che deve far riflettere: ‘Non posso fare a meno di sottolineare quanto la terminologia parco archeologico sia troppo spesso considerata una sorta di astuzia del marketing nei confronti del turismo. Naturalmente non ho proprio nulla contro il turismo. Ma la priorità non è il turismo, la priorità è la tutela. Noi non tuteliamo per poter avere turisti. Perché se così fosse, nel momento in cui il flusso turistico dovesse calare dovremmo smettere di tutelare… Noi, al contrario, abbiamo il dovere di tutelare patrimonio e paesaggio anche se di turisti non ce ne dovesse essere nemmeno uno. Tuteliamo perché lo dice la Costituzione e lo dice perché il patrimonio culturale e il paesaggio del nostro Paese sono la nostra anima’. Quando ci si allontana per qualche tempo dal proprio ambito di studi e ci si trova ad amministrare si comprende con qualche perplessità e smarrimento che la situazione è più articolata e contraddittoria. Tutto insomma è più complesso e difficile. Ma occorre avere un punto di riferimento per non smarrirsi e allora si deve continuare a considerare il patrimonio culturale e il paesaggio di cui siamo eredi come elementi preziosi della nostra identità collettiva”. Piero Bevilacqua docente dell’Università degli Studi di Roma “La Sapienza” ha parlato dei Parchi Archeologici e Paesaggi Rurali e, del PAAP ha detto: “un progetto di grande importanza e prestigioso. Il compito di tutelare e creare un parco archeologico ambientale comporta il fitto dialogo tra diverse discipline che hanno una costante comune: la storia. Ai saperi prevalentemente storici e sociali che si occupano del presente, io aggiungo la storia letteraria. Sarebbe significativo ricostruire le rappresentazioni letterarie che il progetto comprende, custodire cioè l’immaginario storico da ricostruire e riproporre secondo un meccanismo mentale della cooperazione innestato nella storia, restituire insomma l’immagine letteraria del parco. Il dialogo fra le discipline è necessario perché siamo dinanzi ad un patrimonio interconnesso fra tante discipline, non superabili rispetto al loro contesto unitario che è la visione complessa e sistemica di un habitat territoriale. L’Italia nel corso dei secoli ha conosciuto una varietà di colonizzazioni, ed è importante leggere nel paesaggio agrario, le culture delle popolazioni che si sono espresse ad esempio nelle colture dei campi o nella disposizione dei seminativi. Orvieto e i dintorni sono nel cuore di una specifica civiltà agraria con una presenza dell’uomo e della esperienza mezzadrile molto spiccata. La durata secolare di questa forma di rapporto con la campagna ha prodotto tracce archeologiche che si iscrivono in una civiltà agraria di lunghissimo periodo. Un Parco Archeologico Ambientale che sorge, dunque, all’interno di una cultura agricola storica di grande prestigio in Europa. Il parco e la difesa-tutela dei beni che esso ospita, deve comportare una straordinaria difesa dell’economia agricola che è l’originalità del parco”. Rita Paris, Direttore Archeologo della Soprintendenza Archeologica di Roma ha parlato dell’Esperienza del Parco Archeologico dell’Appia Antica. “Il PAAO è un progetto portato avanti guardando alla storia – ha detto - il Parco Archeologico dell’Appia Antica se da un lato si è salvato dalle grandi lottizzazioni, ha conosciuto però molti abusi e ancora sconta la pratica dei condoni. Il caso dell’Appia può essere un esempio completo di tutto questo, data la sua complessità e vastità. Questo per dire che si tende spesso ad abusare del concetto di parco archeologico: tema ancora irrisolto, rispetto agli idonei modelli di gestione archeologica demaniale e ambiti territoriali caratterizzati da preesistenze. Lo stallo in cui resta il ruolo di parco, una specie di astrazione priva di definizione giuridico-amministrativa, porta troppo spesso alla sola tutela passiva. Al vuoto giuridico statale ha corrisposto d’altra parte una diversa attenzione delle autonomie locali con leggi regionali sulle aree naturali protette. Per sommi capi da questa storia emerge con chiarezza che non è ancora chiara la definizione tra i piani di assetto e i piani territoriali paesistici. Un ente elabora il piano del parco, lo gestisce, ma sembra aver perso la memoria sulla storia per la quale il parco è nato, evita di ricercare il coinvolgimento delle Soprintendenze rispetto alle quali, spesso, opera in alternativa. Troppo spesso, in luogo del confronto, quindi, c’è una realtà che è fatta di concorrenza, di conflitti di competenza, di proliferazione di atti che poi si devono sanare”. Al contrario, nel suo intervento riferito alle Emergenze Archeologiche dell’Orvietano, il Direttore Archeologo Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Umbria, Paolo Bruschetti ha parlato di “una posizione e una esperienza decisamente privilegiata quella in atto nell’Orvietano, dove le difficoltà sono limitate ad altri aspetti. Il territorio orvietano è in posizione privilegiata essendo area di confine tra zona etrusca e umbro-italica, luogo di convergenza di persone, esperienze, traffici, economia. L’autorità di questo territorio nel contesto dell’Umbria, è ineguagliabile essendo stata Orvieto una delle più importanti città dell’Etruria, sede di quel Fanum Voltumnae che si sta riportando alla luce in questi anni. Etruschi e romani hanno avuto compenetrazioni di interessi per un lungo tempo, città mai disconosciuta dai romani, tanto che Orvieto è l’unico esempio di scontro armato dei romani sugli etruschi. Oggi si sta facendo chiarezza sulla posizione e funzione romana di Orvieto attraverso le scoperte a Campo della Fiera e al Porto di Pagliano che ci rimandano ad una fase romana importante di grande trionfo di Orvieto. A Porano dove sono state rinvenute tombe di grande rilievo, dal 4° secolo si ebbero importanti trasferimenti di nuclei abitativi, altre grandi realtà romane e pre-romane sono a Baschi e Montecchio che auspico entrino nel PAAO, e ancora, a Castelgiorgio, nell’altopiano dell’Alfina, il granaio dell’orvietano che riforniva Roma, e poi a Castelviscardo. In questo quadro così significativo, è necessario ricercare il rapporto fra le Istituzioni italiane e straniere come le Università statunitensi che stanno lavorando nell’area di Monterubiaglio. E’ importante valorizzare lo scambio di esperienze e conoscenze che sono sempre positivi. Ad Allerona c’è una realtà ambientale eccezionale che ha restituito con i mastodonti di balene marine, tracce di vita marinara di questo borgo. Allerona come Parrano furono passaggi di grande viabilità. San Venanzo, Monteggabbione recano segni della tarda romanità, arriviamo poi ai segni del Medioevo fino all’esperienza gotica”. “L’esperienza di un parco – ha concluso – non deve essere un elemento limitativo o da restringere agli aspetti archeologici, ma è una entità unitaria che gli enti sono chiamati a tutelare sì, ma con la capacità di legare la cultura antica con le realizzazioni moderne, che oggi è possibile applicare. Io diffido da chi vuole una tutela talebana. La presenza di un organismo come il Parco, può essere motivo di tutela e conservazione per quello che veramente è, come elemento di testimonianza del passaggio dell’uomo, quindi un parco che sa integrarsi nel territorio e nel presente”. Il Coordinatore scientifico e direttore del PAAO, Claudio Bizzarri è entrato nei particolari del Parco Archeologico Ambientale dell’Orvietano, illustrando le varie emergenze archeologiche che costituiscono il PAAO attraverso le immagini. “Il simbolo del PAAO è un simbolo che unisce ed è allegro – ha poi detto – perché le realtà culturale in senso lato è anche motivo di divertimento”. “La carrellata per immagini a macchia di leopardo sui comuni che fanno parte del PAAO mostra che siamo in presenza di un patrimonio infinito e di arricchimento del patrimonio ambientale. Ci mostra inoltre che la possibilità di valorizzazione parte dalla conoscenza. Il PAAO rappresenta un territorio che fa rete e che dialoga costruttivamente con quei territori, come Bolsena, con cui ha un forte legame storico. Molte sono le peculiarità del PAAO: dagli accessi in una osmosi tra il pianoro e le pendici della Rupe, alla foresteria nella riconvertita scuola del Tamburino, ai percorsi e sentieri, allo scavo di Campo della Fiera, agli eventi espositivi per riportare materiali che sono a Berlino, alla valorizzare di reperti in loco”. Carla Lodi dell’Ufficio Cultura del Comune di Orvieto, ha parlato dell’Istituzione del Parco Archeologico Ambientale dell’Orvietano. “Credere che i beni storici, culturali e paesaggistici di un territorio che ne è ricco, fosse un volano strategico per la crescita di Orvieto e dell’Orvietano, fu una intuizione dell’Amministrazione Comunale che si concretizzò già nelle linee guida del ‘Progetto Orvieto’ degli anni Ottanta. Quando nell’87 venne approvata la legge speciale per Orvieto e Todi (la 545/87) quella fu l’occasione che oltre per garantire la stabilità della rupe, anche per restaurare il patrimonio architettonico ed urbanistico che divenne una risorsa della città. Il Progetto Orvieto fu costruito mettendo insieme tutte le risorse disponibili giocate in forma integrata. Da qui nacque il successivo progetto politico della città, il ‘Progetto Orvieto Duemila’, sintetizzato dall’allora Sindaco, Adriano Casasole: ‘città-territorio, morfologia e qualità urbana, paesaggio, parco ambientale ed archeologico, città intelligente, trasporti alternativi. Sono alcuni dei rami che si dipartono per una nuova progettualità e che vanno a caratterizzare più complessivamente il progetto Orvieto Duemila’. Da molti anni, Orvieto ha messo perciò al centro della sua azione politica la valorizzazione del patrimonio storico, artistico e ambientale ritenendoli essenziali per favorire la crescita dell’intera comunità in quanto vere e proprie risorse e opportunità di arricchimento intellettuale, relazionale ed economico. E’ imprescindibile quindi, continuare a progettare movendosi su un tracciato che affonda le proprie radici alla fine degli anni ’70, che ha costituito la linea guida dello sviluppo della città degli ultimi trenta anni, dove ogni intervento è stato pensato come un ‘ramo’ di un unico ‘albero’ e dove la creazione di un parco archeologico ambientale è sempre stato un elemento fondamentale del progetto complessivo. I valori di interesse storico, archeologico e naturale presenti ad Orvieto e nel territorio sono un patrimonio collettivo cospicuo che va tutelato e valorizzato utilizzando gli strumenti urbanistici e legislativi disponibili. L’istituzione di un Parco archeologico/ambientale oltre a garantire una maggiore tutela, permetterà ai cittadini il godimento del patrimonio stesso e contribuirà nel contempo a costruire uno sviluppo economico nel pieno rispetto dell’ambiente. In quest’ottica, nel 2001 il Comune di Orvieto ha attivato un gruppo di lavoro per la redazione del progetto complessivo del parco che fosse anche in grado di integrare i vari territori. La sintesi doveva essere un parco, non classicamente inteso, ma un insieme di luoghi presenti sul territorio più ampio che valica i confini del comune di Orvieto per arrivare ad abbracciare i comuni del comprensorio, mettendo a rete tutte le eccellenze presenti. Per questa sua caratteristica, il parco resta un progetto ‘aperto’, i cui confini potranno essere ampliati, potranno essere attivate relazioni, collaborazioni e progettazioni con altri territori interessati, regionali ed extraregionali, che intendono condividere le finalità del Parco”. “Nello stesso periodo – ha aggiunto – la Regione Umbria ha inteso privilegiare la valorizzazione delle risorse naturalistiche, ambientali, storiche e monumentali come fattore distintivo della Regione e come vettore di promozione turistica ed economica oltre che opportunità di valorizzazione delle risorse produttive locali. Perciò ha individuato la valorizzazione delle risorse naturali, ambientali e culturali come grande opzione strategica per lo sviluppo a medio e lungo periodo in grado di favorire maggiore occupazione, garantendo il miglioramento della qualità della vita, del patrimonio e la ricerca dello sviluppo economico compatibile con l’ambiente. Nella progettazione del Parco, il Comune di Orvieto ha coinvolto i comuni limitrofi. E’ nato un progetto complessivo che prevede un programma di interventi di valorizzazione, recupero e promozione da realizzare a tappe, parte delle quali finanziate con fondi Docup obiettivo 2 della Regione Umbria, i cui effetti ricadranno su tutto il territorio. Anche la forma di gestione individuata tende alla integrazione dei territori. E’ stata individuata una forma snella e a bassi costi che sia però garanzia della uniformità delle azioni, evitando di gravare il parco di costi amministrativi e burocratici che andrebbero solo a discapito delle azioni di valorizzazione. La convenzione tra tutti i Comuni interessati e la Provincia di Terni indica, secondo la normativa vigente, le linee di indirizzo e le modalità attuative delle azioni necessarie alla vita e allo sviluppo del Parco. Nel cercare di calare il più possibile tale scelta fra i cittadini e al fine di formare le nuove generazioni che è un obiettivo irrinunciabile, il Comune di Orvieto quale di ente capofila, ha promosso un progetto di servizio civile denominato ‘il Parco di tutti’ sul quale hanno lavorato per circa un anno due giovani ragazze dell’orvietano, che nella prima fase di istituzione del PAAO si sono concentrate nella ricerca e catalogazione delle emergenze culturali presenti in via prioritaria ad Orvieto, allargando poi la propria azione anche al territorio e raccogliendo le informazioni necessarie per costruire un primo quadro di riferimento”. E proprio Roberta Ceccantoni ed Elena Mosciarello hanno spiegato il ruolo del Servizio Civile come area di intervento della cittadinanza attiva che individua tra i suoi ambiti anche quello dei beni culturali. Hanno raccontato - con entusiasmo, convinte che il “fare insieme è una esperienza ad alto contenuto formativo” – ciò che hanno svolto ad Orvieto: dal confronto costruttivo con gli studenti americani presso il C.S.C.O., alla realizzazione della catalogazione del patrimonio culturale del PAAO, identificando sulla carta geografica del territorio che lo delinea, i caratteri peculiari di ogni singola realtà comunale. Hanno parlato, infine, della necessità di rafforzare la rete di comunicazione fra i vari comuni. Del rapporto tra Archeologia e Comunicazione ha parlato in chiusura, il Capo Redattore della rivista “Archeo”, Andreas M. Steiner il quale ha ricordato i 23 anni di attività della rivista fondata dalla casa editrice De Agostini e della costante ricerca metodologica di “come raccontare l’archeologia ai lettori, cercando di catturarne l’attenzione oltre che un numero sempre più crescente”. “ARCHEO ha dato un patrocinio convinto alla iniziativa del PAAO di Orvieto – ha sottolineato – i modi della comunicazione sono cambiati perché è cambiato il pubblico, quindi va la strategia va adeguata alla maturità dei nostri lettori. La sfida su cui ci stiamo interrogando è quella di raccontare l’archeologia, trasmettere e spiegare cioè le radici del nostro Paese alle nuove generazioni anche di migranti. Una sfida che riteniamo sia comune a tutti. Attraverso le notizie, le illustrazioni, le descrizioni entriamo nei problemi. Devo riconoscere che oggi c’è una presa di coscienza crescente e continua su questo tema, i nostri lettori sono dei fan dell’ambiente e, in quest’ottica, i parchi archeologici sono dei luoghi speciali e privilegiati. In tempi così difficili come quelli che stiamo attraversando, è necessario impegnarsi nella lotta per la nostra esistenza. Oggi ad Orvieto, in questo progetto del PAAO vedo che ci sono molti ‘soldati’ in grado di lottare ed impegnarsi per la tutela e la valorizzazione dell’archeologia. Anche noi ci appassioniamo e partecipiamo al Parco Archeologico Ambientale dell’Orvietano verso il quale mi preme rivolgere un appello a tutti i presenti, per i rispettivi livelli di responsabilità che essi hanno: avere cura dell’habitat del Parco e salvaguardarne il contesto attraverso una manutenzione costante” . Fonte: Ufficio Stampa del Comune di Orvieto

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