cultura

"Pugni di zolfo": storia d'infanzia negata

domenica 9 novembre 2008
di Carlo Brunetti
Venerdì 7 novembre è andato in scena, alla Sala del Carmine di Orvieto, “Pugni di zolfo”, uno spettacolo di e con Maurizio Lombardi, giovane autore e interprete la cui attività spazia dal teatro classico a quello di ricerca. Vincenzo Barrisi, il protagonista del racconto, è un pugile che ha appena perso un incontro valido per il titolo mondiale e nella solitudine del suo spogliatoio ritorna alla sua infanzia. I pugni presi fanno ancora male, ma riesce a ricordare e a fischiare una ninna nanna che sua madre gli cantava da bambino; nel silenzio dello spogliatoio Vincenzo ritorna alla realtà da cui è riuscito a fuggire e la racconta. Lo spettacolo è intenso, duro, forse violento ma non è la violenza della boxe che viene chiamata in causa, bensì quella della vita che spesso assesta colpi dai quali non ci si può rialzare. Il racconto ci porta nella Sicilia tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, nelle zone delle zolfare dove i bambini erano costretti a lavorare in miniera già all’età di sette anni. E’ anche la storia di Vito, lo zio del protagonista, che ancora ragazzino fu sfruttato e abusato nella zolfara e che non fece più ritorno dalla miniera. E’ l’esigenza di conservare la memoria della sofferenza, dello sfruttamento e degli abusi da cui solo pochi, tra i bambini poveri di quelle terre, poterono scappare. La scena è scarna, minimale, Maurizio Lombardi usa il corpo come strumento narrativo. Forse la narrazione non è sempre chiara, ma l’attore con l’accuratezza dei movimenti corporei, con il modificare le espressioni e i pochi scarni elementi della scena, riesce a condurci efficacemente nell’inferno della zolfara, laddove molti bambini hanno espiato la sola “colpa” di essere nati. “Altri Mondi” non troppo lontani nel tempo se pensiamo come nell’attuale “mondo globalizzato”, l’infanzia “usata e abusata” sia ancora uno dei più grandi problemi che le Comunità e le Istituzioni internazionali non riescono a risolvere. Secondo un rapporto dell’OIL (Organizzazione Internazionale del Lavoro), infatti, sono 246 milioni i ragazzi ai 5 ai 17 anni costretti al lavoro, tra essi 111 milioni sono costretti a lavori pericolosi.