cultura

A Roma fino al 2 marzo gli inquietanti tableaux di Gregory Crewdson. Unica tappa europea del fotografo americano

giovedì 21 febbraio 2008
di Ambra Laurenzi
dalla serie Beneath the Roses (2003-2005) “Gregory Crewdson”, importante mostra retrospettiva del fotografo americano, e unica tappa italiana del tour europeo, è esposta al Palazzo delle Esposizioni di Roma, finalmente riaperto dopo lunghi restauri, fino al 2 Marzo. La mostra presenta diverse serie di fotografie realizzate da Crewdson nel corso di vent’anni di attività e il primo impatto con le immagini di Beneath the Roses (2003-2005), grandi tableaux le cui dimensioni superano i due metri per lato, proietta immediatamente gli stessi visitatori all’interno di strade, parcheggi, case della periferia urbana americana., producendo domande, dubbi, inquietudini…… Queste fotografie stanno raccontando qualcosa di noi? Certo, Crewdson ci sta mostrando la società americana, ma attraverso segni e simboli reiterati ci giungono sensazioni e disagi conosciuti: interni di case dove all’apparente perfezione degli ambienti si oppone l’impossibilità delle relazioni; strade e piazze dove automobili ferme, a portiere spalancate, appaiono incapaci di proseguire un viaggio; valigie aperte o disseppellite segnale di una libertà che non viene colta e che diventa vulnerabilità; persone immobili in grandi spazi urbani senza direzione; corpi semivestiti o nudi, riflessi in specchi che proiettano l’altra parte di sé. dalla serie Beneath the Roses (2003-2005) Nelle prime fotografie realizzate in bianco e nero degli anni giovanili della serie Early Work (1987-1988), sono già presenti i segni del percorso fotografico che Crewdson avrebbe sviluppato negli anni successivi. La periferia americana si presenta chiusa dentro le perfette geometrie dei giardini delle piccole case a schiera, dove l’ordine e le simmetrie allontanano da qualunque emozione e le poche persone inserite nell’immagine producono un senso di spaesamento spazio-temporale. Tra il tempo soggettivo e il flusso costante del mondo si crea un’insanabile frattura, la stessa frattura che ritroviamo nelle desolate ed emblematiche narrazioni dei dipinti “fotografici” di Edward Hopper, uno dei più grandi pittori del novecento americano, da cui Crewdson ha tratto atmosfere e riflessioni. Così come ha tratto motivi di ispirazione dal cinema noir e visionario di David Lynch e David Cronenberg, sia nei contenuti sia nelle modalità operative necessarie alla realizzazioni delle immagini, di tale straordinario realismo che per la loro produzione si è reso necessario l’allestimento di set cinematografici a cui hanno concorso oltre un centinaio di persone. La finzione cinematografica è dichiarata apertamente, nell’artificio delle scene, nell’uso del single-frame movies unica inquadratura che racconta un intero film; nella frequente scelta di attori famosi come protagonisti delle fotografie. dalla serie Twilight (1998-2002) In questo gioco al rimando tra realtà e finzione, quella che ci racconta Crewdson è un’umanità dolente che non trova riscatto nemmeno nella natura, affascinante, come descritta nella serie Natural Wonder (1992-1997) ma indomabile tanto da raggiungere le nostre case, Twilight (1998-2002), producendo, come egli stesso ha affermato, una collisione tra il bisogno irrazionale di creare un mondo perfetto e l’impossibilità di riuscirci. La fotografia di Crewdson rappresenta una perfetta sintesi di vari linguaggi, attraverso una stratificazione visiva che pone interrogativi sui valori che la società attuale esprime, sui nuovi rapporti tra tempo e spazio, tra realtà e finzione. Ed è per questo che il suo lavoro si inserisce perfettamente nei luoghi dell’arte contemporanea.