cultura

Le tasche del cuore e della memoria: appunti sulle 'Mappe colombiane' di Alessio Brandolini

lunedì 3 settembre 2007
di laura
Tira fuori la testa usa le mappe tallona il sogno l’inatteso paesaggio tienilo bene a mente stretto nello sguardo. Nelle morbide nicchie più appartate del cuore conservalo con garbo. (Alessio Brandolini) Nate dal suo viaggio a Medellín, dove nel giugno 2004 ha partecipato alla XIV edizione del consueto “Festival internazionale di poesia”, queste Mappe Colombiane di Alessio Brandolini sono diventate testo edito solo nel marzo 2007, per i tipi della collana Aretusa della edizioni LietoColle. A lungo elaborate dall’autore sono state precedute, nella pubblicazione, da testi scritti posteriormente, quelli de "Il male inconsapevole" (Il Ramo d’Oro, Trieste 2005): non ce ne chiederemo troppo la ragione, dato che se c’è un luogo dove la cronologia non ha senso è proprio quello della scrittura e, nella scrittura, della poesia in particolare. La mappa, per sua natura, mette a fuoco in modo dettagliato una porzione relativamente ristretta di territorio, e forse l’autore ha voluto dettagliare fin nei particolari più minuti un’opera che non solo appare un caposaldo della sua produzione, ma ripercorre un’esperienza che ha segnato in modo forte la sua vita e il suo immaginario, attraverso luoghi, relazioni, sentimenti, sensazioni, elaborazioni. Ancorata allo spazio con forti connotazioni simboliche, la mappa può tuttavia scegliere il suo tempo “storico”, disegnare l’assetto della contemporaneità o tracciare il reticolo di più antiche coordinate: ponte tra presente e passato, può restituire epoche arcane e arcaiche o addirittura ipotizzare situazioni preumane. Quale territorio, dunque, per tracciare ed essere tracciati, più suggestivo della Colombia, del suo antichissimo mistero tutto da raffigurare e da scrivere? Prima c’era il mare che era lo spirito di tutto quello che sarebbe accaduto dava cibo al nostro pensiero sosteneva la futura memoria. (...) pag. 84 Così tra Bogotá e Medellín, tra volti nuovi e luoghi di originario stupore, il poeta ondeggia tra presente e memoria, nuove prospettive ed improvvise epifanìe, attesa e rimpianto, accidia e speranza, segnando la carta di solchi spaziali e interiori, estraendo nuovi occhi e nuova linfa dal viaggio: (...) Vivo sordo pieno di peli e foglie gialle. Mi spargo nel buio intanto erodo le parole scavate nella roccia nell’acqua mi scrosto dal male. Nei fossi di confine c’è la traccia d’amore che da mesi ristagna. (...) pag. 44 E ancora: Canto e ascolto l’allegria degli uccelli sotto l’ombra delle statue di bronzo la voce che proviene da un mondo nuovo che ancora non conosco (...) Contamina le mani modifica lo sguardo ossigena l’oscurità senza fine del pozzo. pag. 48 Ad accogliere la speranza di nuove segrete mappe, di un ossigenante leggero andare – è “un tipo sciolto, persino più alto” il Brandolini che assapora il gusto forte di Bogotá – sono il profilo terso delle Ande, l’eterna matura primavera, l’inebriante splendore di giugno: il mese del festival di poesia di Medellín, quello della nascita, il più bello, che poi è anche un esplicito richiamo alla "Terra desolata" di Eliot (“April is the cruellest month...”). Intenso e ricorrente nei versi del poeta, “Giugno” è l’incipit: del testo, della vita, dell’eros, del viaggio, del nuovo corso che si schiude, di quel flusso nostalgico che sempre, la perfezione, sprigiona già nel momento in cui è goduta: Giugno è il mese più bello lo gridano i colori l’intensa notte equatoriale con il verdeggiante rumore. (...) L’arazzo delle stelle snuda la schiena impervia delle Ande. Ho bisogno d un flusso discreto di carezze di questa luna audace che arrossa il buio calma i colpi del cuore rafforza la memoria dona allegria alla voce e al pianto dell’esilio. pag. 13 Nel rigoglioso, continuo espandersi dell’universo subtropicale - dove come ben fa notare Armando Romero nella sua intensa introduzione “Non si nasce, non si muore, ma è la solita violenza che si trasforma costantemente” - il poeta percepisce le immense possibilità del caos, con la forza della parola se ne fa interprete e demiurgo, ne stabilisce un più o meno sensato ordine, ne traccia una mappatura esotica che si farà memoria per sovrapporsi, con ardite e inattese incursioni, al domestico campestre delle poesie della terra: sconvolgendo spazio e tempo e piegandoli, con grande naturalezza, a un continuo simultaneo agguato. Come accade, del resto, nel magico delle civiltà australi e in ogni vita ricca di immaginario. Così, può starsene nella classe turistica del ritorno e trasformarla, masticarla nella paura del non essere fino a renderla erba morbida e silenziosa; far scandire al paesaggio, già nel presente, i nomi dei luoghi e di tutte le persone incontrate, conservarle per sempre nelle tasche del cuore; lasciar invadere il suo territorio abituale di bestie esotiche per poi chiedere, in un ironico affettuoso guizzo, che l’amico poeta Romero torni a Roma a riprendersele. Come Alessio Brandolini stesso afferma, ogni suo viaggio poetico ha radici nell’opera che lo precede e getta ponti verso la successiva: [“Al Museo dell’oro ho trascritto / nella mitologia Koghi una frase / perfetta per il mio fiume nel mare”], ovvero al libro di poesia "Il fiume nel mare", annunciato in alcune sue sillogi inedite apparse su riviste. Se situiamo le sue "Mappe colombiane" in ordine di creazione piuttosto che di edizione, il loro solido corpus subtropicale si intreccia, effettivamente, con continui rimandi, realistici o nostalgici, alle "Poesie della terra" (LietoColle, 2004) e anticipa, nelle note sofferenti che continuamente fanno da contrappunto alla gioia, la pena rosso sangue de "Il male inconsapevole" [“Di notte torno sui miei passi / come faccio sempre e mi guardo / leggere un testo in cui parlo / di una fabbrica abbandonata / alla periferia di Roma”, che poi è la poesia “Largo Preneste” contenuta ne Il male inconsapevole]. Non mancano, infatti, né accenni alla violenza sociale della terra di Colombia, né a una dimensione più universale del dolore e della caducità della condizione umana, di cui diventano metafora il sangue della foresta, l’eccesso inquietante del barocco, il frutto maturo bloccato appena prima del processo di decomposizione e fatiscenza. Demiurgo della materia e della forma, il poeta veglia su ogni pulsione con il suo abile verseggiare, riconduce ogni accento alle asciutte, peculiari armonie del suo verso breve spezzato di moderne dissonanze, sparge ironia affettuosa sul rischio della retorica, alza il quotidiano verso le stelle, stempera il sale del cuore in un moderno panteismo fino a rendere corpo il creato e, il corpo, elemento di un’agognata silenziosa unione con ogni altro elemento dell’universo: Pettino con le mani i capelli increspati del buio tropicale. Sciolgo i fili annodati delle stelle e del sole. Mi accendo questa sera e a lungo ti accarezzo con tutto il corpo ti stringo ad occhi chiusi ti regalo il sale del cuore poi ascoltiamo in silenzio le proposte della savana gli audaci pensieri del vento. pag. 53 Da www.lietocolle.com, luglio 2007 Esperienze ed emozioni così forti non possono avere né un ora né un prima né un dopo; come è ben condensato nell’epigrafe della raccolta, improntata al poeta colombiano Giovanni Quessep: “Ogni speranza ha la sua memoria, / un sole di ferro, un pianto d’esilio”.
Alessio Brandolini, Mappe colombiane (con una introduzione di Armando Romero e un disegno a china di Stefano Cardinali, LietoColle, Faloppio - Como - 2007, pagg. 95, € 13,00)