cultura

Venerdì a Venti Ascensionali, Enrica Rosso porta in scena il testo di Manfridi 'Intervista ai parenti delle vittime'

martedì 16 gennaio 2007
I passionali Venti Ascensionali stanno per placarsi, ma delle sorprendenti novità devono ancora essere soffiate. Una prima nazionale è in programma alla Sala del Carmine per le 21 di venerdì 19 gennaio, Intervista ai parenti delle vittime, testo inedito di uno dei maggiori drammaturghi italiani viventi, Giuseppe Manfridi, per la regia e l’interpretazione dell'attrice teatrale Enrica Rosso. La stesura iniziale di "Intervista ai parenti delle vittime" nasce nei primi anni ’90 su sollecitazione del teatro di Roma che voleva proporre degli spettacoli sulla droga per le scuole, ma il testo è stato rimaneggiato dall'autore almeno tre volte. L’ignominia di una certa cultura mediatica, ignorante, invasiva che non ha scrupoli è stata il primo nucleo di questo dialogo con una sorella che non c’è. Quello che la protagonista avrebbe voluto dire durante l’intervista e non ha detto, lo dice mentre l’intervista va in onda ma lo dice direttamente alla sorella in una sorta di salmo o preghiera. La prima versione del testo era per interprete maschile, poi Manfridi ha pensato negli anni che quel rapporto sarebbe stato più giusto tra sorelle, quella carnalità particolare che può esserci tra una sorella maggiore e una sorella minore, lo scambiarsi le cose, le invidie, le gelosie… in questo senso il testo è cresciuto. La tossicodipendenza, la morte di una persona cara, la speculazione sul dolore privato e più intimo da parte di una cultura mediatica senza scrupoli sono i temi centrali attorno ai quali si dipana il racconto. “Il progetto di regia è semplice - afferma Enrica Rosso -, avendo a che fare con un testo così poetico e visionario, così ricco, non ho dovuto far altro che entrarci e lasciarmi andare a tutte le infinite coloriture, date dai molteplici piani di lettura: da quello squisitamente poetico, a quello più concreto e incastonato in questo presente, in cui noi tutti siamo vittime della volgarità mediatica, dell’uso che viene fatto delle nostre emozioni, del nostro vissuto. Come tutti i grandi testi poi, ha dalla sua la capacità di trattare un tema profondamente umano quale può essere l’elaborazione del lutto, che non necessariamente è un lutto reale, ma può essere anche l’elaborazione dell’assenza in tutta la sua pienezza.” Tutto inizia dalla morte di una ragazza, avvenuta tra i banchi di una chiesa. Si saprà in seguito che si tratta di overdose. Da lì si scatena la furia dei media alla ricerca dei dettagli più personali e nascosti della sua vita privata. Viene interpellata la sorella di lei che accetta di essere intervistata. Durante la messa in onda dell’intervista, però, accade qualcosa di insolito… altre parole si sovrappongono a quelle di facciata, pronunciate davanti ad un microfono e ad un pubblico, le parole che le premevano dentro vengono fuori pian piano, in una sorta di rivelazione e di confessione: il rancore si mescola all’affetto e ad un ultimo accorato appello alla sorella che ormai non può più ascoltare. Questo, come molti altri testi di Manfridi è scritto in versi, il che gli conferisce una struttura già di per se musicale. “Il verso - pensa Manfridi - è uno strumento che noi italiani siamo abituati a considerare colto ma in realtà è perfetto per la scrittura teatrale: lo dimostrano il teatro di Molière, la tragedia greca, il teatro shakespeariano, il teatro di Alfieri, e anche gran parte della drammaturgia contemporanea straniera… Perché il verso, comunque, inchioda ad una sonorità forte e inevitabile, propone una quantità di seduzioni per l’ascoltatore molto efficaci, una rima interna, un’assonanza. Il parlare come parlerebbe lo spettatore non è il modo corretto di scrivere teatro, bisogna scrivere in maniera tale che lo spettatore ascolti… il verso può essere uno strumento molto seduttivo ma deve essere usato in maniera scenica, bisogna lasciar correre il racconto nel verso.” La regista dunque, partendo dalle suggestioni offerte dal testo ha scelto la via della semplicità, scegliendo un’ambientazione scarna con l’unico ausilio di musica e immagini. Le immagini come la musica non fungono da commento ma rappresentano l’esplosione dell’interiorità, un’altra modalità di questa compulsione dell’anima che viene fuori; la musica, a tratti, emerge e ha il sopravvento e rimanda a un’onda in cui rientrano le parole… il testo è in endecasillabi dunque ha un andamento già di per se musicale. Tutto il resto è fatto con semplicità: parto dal nulla da un soggetto in un luogo identificato, man mano che prendono vita degli oggetti li metto in scena: il minimo indispensabile, perché, lo spazio viene riempito dalle parole e dalle suggestioni. Ed è sempre lei a motivare la scelta di Orvieto per la prima nazionale di questo spettacolo: “…questo progetto parte con Orvieto. La parte visiva è curata da Massimo Achilli, del Laboratorio teatro animazione di Orvieto, con cui c’è un rapporto di complicità e di lavoro che dura da anni, ma è la prima volta che lavoriamo realmente insieme, ci siamo incontrati su questo progetto e abbiamo voluto sperimentare... Poi penso che Venti ascensionali sia un contenitore molto interessante e ricco di opportunità, da preservare e far crescere…”.