cultura

Cantine e Chef alla Ribalta. Magico mix di eccellenze per la cena di venerdì 28 luglio

mercoledì 26 luglio 2006
Appuntamento di eccezione quello di venerdì 28 luglio alle 20.30 in occasione della cena di “Cantine e Chef alla ribalta”. L’iperbole non è fuori luogo visto che scendono sulla terrazza del Palazzo del Gusto tre virtuosi rappresentanti della “Carta delle Piacevolezze” del territorio orvietano: i vini del Palazzone, i piatti del Pozzo etrusco d’Aronne e i salumi di David Rossi.

I VINI del “PALAZZONE”

La nobile anima vignaiuola di Giovanni Dubini propone tre esemplari della sua raccolta: Il “Terre Vineate 2005”, il “Campo del Guardiano 2002”, il “Rubbio 2004”. Dinanzi ai vini di Giovanni – proprietario, assieme al fratello Ludovico, e anche enologo dell’azienda - si avverte uno stile, una cifra lontana dalle lusinghe dell’effimero "piacione”. Egli non nasconde un’inclinazione che lo vuole orientato a valorizzare massimamente il “terroir” nei vini prodotti e quindi a scegliere tipologie di vitigni autoctoni. Nondimeno, sarebbe però errato attribuire a Giovanni – persona autenticamente libera - una mentalità “integralista”, frutto di uno “sciovinismo agricolo e vinicolo”. A tal proposito, ci piace ricordare che tra le etichette prodotte dalla cantina spicca quel monolite sacro che è il pluridecorato “Armaleo” (Cabernet Sauvignon in purezza con un 5% di Cabernet Franc), l’originale e intrigante “Ultima Spiaggia” (Viognier in purezza in parte passato in barriques) , la “Muffa Nobilis” (favolistico Sauvignon colpito da Botrytis). Insomma, par di capire che in quel pezzo di giardino edenico che è il Palazzone (guardare per credere) la tradizione - che si esprime, oltre che negli Orvieto, anche nel Grechetto in purezza, nel “Piviere di San Donato” e nel “Rubbio” - si lasci virtuosamente fecondare da esperienze internazionali e – perché no? – eccentriche. Dicevamo del “terroir”. Con il termine si indica il terreno (nelle sue differenti articolazioni podologiche e biologiche), il microclima tipico di quella zona e, infine, le interazioni tra le complessità di questi due elementi. Non crediamo di allontanarci dal vero affermando che i vini di Dubini si caratterizzano complessivamente per un chiaro e distinto “goût de terroir”. Risultato, questo, possibile solo a partire da una cura “maniacale” della vigna. E a proposito di quest’aspetto, Giovanni così ebbe a dire alla rivista Portos: “Non ho espedienti o segreti che attengono alla genialità, e non mi piace neanche spacciarmi per l'ultimo profeta del biologico, vorrei unicamente che la genuinità delle procedure colturali trapeli anche nei vini che faccio”. La cura del vigneto – quanto mai necessaria in terreni dalle enormi potenzialità ma perigliosamente sensibili ai periodi siccitosi – è quindi precondizione della qualità del vino. E che il Dubini enologo abbia scoperto qualche ricetta meravigliosa a livello colturale lo si deduce dall’incredibile longevità dei bianchi (nell’articolo del già citato Portos si commenta una verticale di Terre Vineate dal 1984 al 2001 celebrando, in particolare, l’annata 1986 e 1990). Probabilmente il segreto dell’eterna giovinezza sta in quel fondo di origine marina sul quale poggiano gran parte dei vigneti e che trasferisce al vino quella “mineralità” che superbamente emerge con gaiezza e personalità. Tre i vini in degustazione: l’Orvieto Classico Superiore “Terre Vineate”, l’Orvieto Classico Superiore “Campo del Guardiano”, il “Rubbio”.

TERRE VINEATE

Un Orvieto giallo paglierino intenso con note di mela golden, sambuco, fiori bianchi. Strutturato ed equilibrato in bocca, lascia emergere una nota sapida che dà una certa rotondità. Procanico 50%, Grechetto 20%, Verdello, Drupeggio, Malvasia 30%. Matura in acciaio inox

CAMPO DEL GUARDIANO

Rappresenta il “cru” dell’Orvieto più blasonato dell’azienda. Dopo la fermentazione in acciaio si affina in bottiglia per 16/18 mesi all’interno di una grotta in tufo a temperatura costate.. I vitigni - Procanico 50%, Grechetto 25%, Verdello, Drupeggio, Malvasia 25%. - sono quelli classici del territorio. La tiratura è molto limitata (appena 7000 bottiglie). È considerato uno degli Orvieto maggiormente espressivi. Paglierino intenso con una nota verde, si presenta al naso di notevole profondità e raffinatezza,; in bocca è setoso, la fibra si allunga sorretta da una struttura piena, vibrante e persistente con la “nota minerale” che timbra in maniera piacevolissima il complesso degli elementi.

RUBBIO

Sangiovese per il 70%, i resto lo consegnano il Canaiolo e il Montepulciano. Fermenta sulle bucce per 10 giorno. In acciaio ci consumano le fermentazioni alcolica (prima) e malolattiva (poi). Successivamente, in barriques per 6 mesi. Colore rubino intenso, vivo; naso denso ma non arcigno, la sua fragranza è offerta senza mediazioni; bell’equilibrio tra le note acide, i tannini sostenute da un apprezzabile corpo.

David Rossi presenta: “La Pigna di San Venanzo”

Per celebrare il venerdì dei piaceri, David farà debuttare a Orvieto la “Pigna del Monte Peglia”. Si tratta di una nuova opera dell’arte di David, già autore della “Sella di San Venanzo” e definita dai gourmet tra i tesori più lussuriosi della tradizione gastronomica dell’Orvietano. Il nome del salume deriva dal fatto che la forma sia in parte analoga al frutto delle conifere. La partecipazione ai caratteri del mondo vegetale va oltre la forma esteriore poiché al suo interno operano con vero “esprit de finesse” un complesso di spezie che trasformano la “Pigna” in una seducente esperienza aromatica. Si tratta quindi di un salume “speziato” prodotto a partire da una lavorazione asincrona di pancette e magro di suino. Le pancette (un 35% del totale) vengono messe sotto sale e spezie (rosmarino, zenzero, peperoncino, salvia, alloro, ecc.) una settimana avanti la manifattura definitiva. Le stesse vengono poi dissalate e lavate. Da questo momento in poi comincia la parte più delicata del processo poiché occorre unire, in un impasto uniforme, la pancetta ormai disidratata con il magro. Solo al termine di un sapiente equilibrio di macinazioni a grande grande e piccola (a cui concorrono l’esperienza e l’intuizione di un grande norcino) la “Pigna” potrà essere finalmente “messa il libertà”. Ma le sorprese non finiscono qui. Al pari del vino, anche la “Pigna” può essere sottoposta all’affinamento. Matura ed è pronta per il consumo dopo quattro settimane (quindi una specie di “Novello”). In questo caso il piacere è dalla freschezza e dai delicati sentori delle spezie. Ma, prolungando il periodo di stagionatura, il salume diventa capace di bellissime espressioni speziate e balsamiche, come un grande rosso che con l’invecchiamento cede l’effimero per acquisire “abiti” gustativi di inesauste fecondità.