cultura

E vissero felici e contenti... o forse no. Le spiazzanti favole di Roberto Vecchioni

lunedì 24 aprile 2006
di Davide Pompei
C’era una volta Cappuccetto Rosso. Eh già, una volta. Dite addio alla paffuta bambina che canticchiando attraversa il bosco per andare a trovare la nonna. Oggi la bimbetta si accorda con il cacciatore per rapinare il lupo dei suoi tesori e al tempo stesso far fuori l’anziana vecchia che non muore mai e non sgancia un solo fiorino. Spiazzati da questo dissacrante finale e incuriositi dalle altre inedite variazioni che fiabe e antiche leggende, da Cenerentola a Robin Hood, hanno assunto, gli affezionati del “Libro Parlante” potranno assistere alla lezione del prof. Roberto Vecchioni, che li riceverà tutti, sabato 29 aprile alle 18:15, al Palazzo dei Sette. Il noto cantastorie presenta, infatti, il suo “Diario di un gatto con gli stivali” uscito per Einaudi lo scorso 11 aprile. In 166 pagine riscrive a suo modo la morale di quindici famose storie che hanno allattato intere generazioni, rappresentando il volto più segreto dell’evidente realtà secondo la tecnica che già Borges ha utilizzato nel racconto “Il giardino dei sentieri che si biforcano”. Stanco della melassa dei lieti fini, dove i buoni sono sempre più buoni e i cattivi immancabilmente perfidi, Vecchioni saluta il buonismo zuccheroso di favole, che pure tanto buone non sono, divertendosi a far loro il controcanto, le rilegge ribaltandole, sovvertendo le morali che tutti si aspetterebbero dalle più tradizionali vicende di ranocchi e principesse. Quello di Vecchioni, che tiene un corso universitario a Pavia di “Testi letterari in musica dall’antichità ad oggi”, è un esperimento curioso e riuscito di commistione dei generi e rottura degli schemi preconfezionati, una corrosione di stereotipi e idee fatte che può creare nel lettore qualche vertigine da crisi delle certezze. Le favole sono state i mass media dell’antichità, gli archetipi di telenovele e soap opere che hanno propagandato con l’efficacia di spot televisivi comportamenti buoni e giusti, modelli precisi. I bambini amano avere certezze e sapere che il bene trionfa sul male, ma a distanza di un secolo o due da quando sono state scritte, tutto è più complicato. Se è vero che le favole sono prototipi letterari di una vita in cui c’è una sola possibilità, metafore rosa per mostrare i più piatti dogmi, è anche vero che molto di quello che vi si legge non è mai esistito, né esiste nella vita reale. Come a dire che il lettore non può scegliere: i principi azzurri sono e saranno sempre nell’immaginario collettivo belli, buoni e bravi. Ecco allora, la citazione di Italo Calvino, quello di Fiabe Italiane, secondo il quale il surreale è la cosa più reale che esista. Niente è come appare, nemmeno le parole, ma niente appare com’è. Vecchioni con questo Diario giocato sul sentimento del contrario ha voluto mostrare l’altra faccia del lupo cattivo, provando a far emergere vuoti e ossimori, esprimere il suo personale punto di vista e, perché no, prendersi una rivincita su antagonisti ed eroi, insinuando dubbi perfino tra i classici della letteratura. Vecchioni è, in definitiva, uno degli ultimi relativisti, che con maestria ridisegna personaggi come il terribile sceriffo di Nottingham e la regina Grimilde, dando un taglio alle contraddizioni del genere favolistico, aggiungendo i grigi di una tavolozza che contempla solo il bianco e il nero. La sua attività di scrittore, parallela a quella musicale, gli ha procurato fino ad oggi discrete soddisfazioni: i suoi libri, dalla raccolta di poesie e racconti del 1983 “Il grande sogno” a “Il libraio di Selinunte” uscito due anni fa, sono andati bene. Per chi critica tanto accanimento contro il mondo di Andersen, Perrault e dei fratelli Grimm, c’è una risposta popolare: “Scrivere per me è un’esigenza. Sento il bisogno di uscire dal mondo delle canzoni, che narrano invariabilmente di politica e amore. Poesia, racconti e favole mi permettono un raggio d’azione e pensiero più ampi”. Ogni favola riscritta ha un finale tutto da scoprire, solo in ultimo ci si accorgerà, come in un giallo, di aver sbagliato. Come gli episodi più riusciti del suo canzoniere, anche questo libro è un campionario emotivo, una specie di confessionale intimo, dove catalogare esperienze e linguaggi, dove sperimentare e osare per vivere felici e contenti. O forse no.

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