cultura

Lettere. Da Insopprimibili vizi un racconto di Laura Ricci

domenica 27 novembre 2005

"Insopprimibili vizi" (AM Edizioni Marotta, dicembre 2004) può sembrare un libro di racconti ma, in realtà, è un romanzo-puzzle, di cui chi legge è chiamato a ricomporre i pezzi. Le lettere sono uno dei leit motiv che aiutano a farlo. In questo modo si spiega l'accenno, a fine racconto, ad Angela Vicario, l'indimenticabile creatura tratteggiata da Gabriel Garcia Marquez in "Cronaca di Una morte annunciata".
In correlata alla recensione dello spettacolo teatrale "Una storia d'amore", tratto dall'epistolario tra Anton Cechov e Olga Knipper, questo racconto mi è sembrato un dono appropriato per i lettori e le lettrici che avranno voglia di leggerlo.
Laura




Sto aspettando una lettera... lettera... continuo a chiamarle lettere talvolta. Anche se i tempi sono cambiati, l’inchiostro non tinge più le relazioni, gli affetti clicchettano di mouse ma non sfrigolano di carta.
Sono al monitor, avvio la connessione – composizione in corso – ascolto il trillo senza melodia e senza grazia. Modalità in linea, benissimo - senza problemi verifica nome utente e password - velocemente ricezione posta. Tutti i miei account, i differenti server – ho varie identità, molte anime – colmando le diverse barre di blu, senza nessun errore, senza virus la posta si riversa sul vitreo lattiginoso spazio.
Les jeux sont faits... il breve discreto inesorabile suono...
E la lettera che aspettavo – tra tante – non è arrivata...I tempi sono cambiati, certo...ma le dinamiche si rinnovano, sempre le stesse. E magari, dato che il postino è immensamente più veloce, si ripetono con sorprendente rapidità: nascono, invece che dopo anni, dopo giorni o mesi.

Ho sempre amato gli epistolari, spulciato nelle vite – chissà quanto private - di personaggi più o meno famosi. Lettere all’amica, all’amico, alla madre, alla figlia, al figlio, al marito, ai più o meno durevoli amori. Sinceri spontanei – non rigorosamente, talvolta che andranno ai posteri chi scrive lo sa – informali saltellanti frammentari giocosi, dolorosi spudorati discontinui crudeli compassionevoli spietati, affettuosi teneri amichevoli ironici appassionati, seri scherzosi ordinari straordinari solitari interlocutòri...compongono, senza pretese preordinate, il puzzle dell’esistenza più o meno intima e della storia.
Sinceri insinceri spontanei leziosi, formali informali dolorosi giocosi, spudorati aperti velati trattenuti rimbalzano parole in un match dove la palla non è mai scambiata regolarmente: in ogni epistolario c’è chi lancia rilancia e chi schiaccia.
Ho sempre amato gli epistolari, li ho creati... Lettere alle amiche, agli amici, alla figlia, ai più o meno durevoli amori.

Apro, leggo, riordino nelle varie cartelle, cancello, elimino.
Clicco la mia comune cartella d’amore – niente da trascinare - tristemente non aggiornata.
Ahimè – mi dico – che visualizzazione impietosa... Un tempo, almeno, era difficile seguire il volo e il viaggiare della posta. Aspettavi il corriere la diligenza il postino, ma se la lettera non arrivava potevi pensare che fosse rimasta nelle pieghe di una bisaccia o nel fondo di un sacchetto. Riponevi i biglietti le cartoline i messaggi, rassettavi contavi gli amati attesi fogli, ma non avevi, del tuo mucchio, una percezione certa.
Sul monitor il mio mucchio è una torre invece, fatta dei piani esatti regolari del mio nome. E per giunta l’oggetto mi rammenta quel che avviene nelle stanze... e a che ora... e in che giorno.
Ahimè... che visualizzazione impietosa.
Nella torre, di tanto in tanto, il colmo la copertura del nome atteso... e poi il mio piccolo personale cumulo ricomincia. Fino al prossimo tetto, fino all’imprevedibile desiderata interruzione. Talvolta senza oggetto, forse un poco frettolosa. La data sì, quella implacabile... e l’ora esatta puntuale precisa... a dirti che non ti scrive - ormai – né all’alba né di notte.
Scorri la barra, alla ricerca del tempo perduto – tempo vicino, tempo veloce – alla cattura dei vecchi più assidui messaggi. Diverso una volta – non anni, pochi mesi – anche due tre messaggi ogni giorno... e l’oggetto... e le aurore... o le veglie. È sempre andata così, nei secoli dei secoli – il fervido ribollente fermento di ogni inizio – ma nella polpa più morbida del cuore e della memoria, non nell’inclemente coriacea ricezione dell’occhio.

Ho sempre amato gli epistolari… Un tempo i curatori dovevano cercare ricostruire fare ipotesi, ricucire lacune, lasciare buchi di impossibile rammendo, mettere insieme pezzi di difficile reperimento e decodifica. I parenti, gli amici, i figli, i grafomani più o meno collezionisti... cofanetti, cassetti, pacchi ordinati o pezzi sparsi... datati, non datati, meticolosi, confusi documenti... integri chiari sbocconcellati ingialliti... decifrabili indecifrabili nitidi scoloriti... In attenta paziente ricognizione il curatore si muoveva nell’intricato ginepraio dialogico.
Nell’era virtuale tutto sarà più semplice. Una reciproca cancellazione – solo reciproca – farà scomparire ogni traccia; un’archiviazione puntuale, oltre ad essere netta, non lascerà dubbi di sorta. Al bando le indagini snervanti, le ipotesi ardite, le ricostruzioni più o meno pietose: tecnologicamente scientifico, o tutto o niente.

Ho sempre amato gli epistolari, con maggiore o minore esito li ho creati... Tutte quelle mie lettere ad esempio – tredici anni lunghi, cartacei - spedite senza copia, sia pur romanticamente inesorabilmente sminuzzate – quel non coraggioso giovanile amato amante - tutte quelle verbali emozioni dissolte nell’acqua, disperse nel vento... Nel mondo virtuale conserverei i miei file, non sarei stata cancellata. E magari la consumazione sarebbe avvenuta in anni più ristretti, veloci. Duemilaquattrocentonovantasette mail in un lustro forse, piuttosto che in un decennio abbondante. E avrei avuto un grattacielo infinito - solo mio - senza coabitazione, senza l’adorato intruso. O forse la visualizzazione spietata, la dura ricezione dell’occhio lo avrebbe di colpo interrotto... millesettecentocinquantanove mail, non di più. Forse.
Ho sempre amato gli epistolari... anche monologanti solipsistici masochistici. Perché poi, in fondo, sono un insopprimibile vizio.

Dovrò scrivere un messaggio a un eventuale curatore dunque, a un’eventuale curatrice, da conservare in cartella con la sua gialla allertante spia di file non inviato. Per metterli in guardia dai rischi, sia pure meno azzardati, di ogni possibile layout interpretativo; per spiegare, sia pure via etere, che al di là dei cumuli vitrei la vita è anche di carne, di gesti, di pelle. Scorre calda e magmatica fuori dal monitor, respira pulsa gorgoglia esiste stupisce, indipendentemente dal disavanzo di parole, di messaggi.
E una lettera dovrei scriverla anche al grande Gabriel a ben pensarci - proprio una vecchia lettera, di quelle inchiostrate – se mai riuscirò ad avere un suo recapito. Per informarlo che in un piccolo temperato paese boreale c’è un’oscura viziosa minuta donna che, con o senza risposta, ha già scritto più lettere della sua Angela Vicario. E chissà quante ne scriverà ancora – eterno assoluto inestinguibile fermento, eterno inizio - nel disperato per ora fallimentare tentativo di imparare a tacere, ma solo d’amore.
(Laura Ricci)


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