cultura

Alcol e assenzio: come trasgredire senza abusarne

mercoledì 23 novembre 2005
di Davide Pompei
Che l’alcol annebbi la vista e disinibisca i costumi, che colpisca la capacità di giudizio e sovverta le regole favorendo l’approccio promiscuo, è risaputo. Ma che i suoi effetti varino da organismo a organismo, viene spesso ignorato.
L’alcol è metabolizzato da ogni individuo sempre nella stessa quantità per unità di tempo, ovviamente maggiore è la quantità che scorre nel sangue, più lungo è il periodo necessario alla sua metabolizzazione.
Fatte le dovute eccezioni, la capacità di tolleranza da parte del sesso femminile, sempre più dedito alle bollicine, sembra essere molto più bassa rispetto ai maschi. Inoltre, pare che le ragazze da ubriache si comportino peggio dei ragazzi, che la loro euforia dia problemi maggiori in termini di controllo alla polizia. Dati, però, che non giustificano certo il fatto che in Italia una donna su tre subisca molestie sessuali dopo aver bevuto.

Da sempre connesso all’elemento socializzante e festivo, legato agli aspetti più conviviali e aggreganti, oggi l’alcol per la maggior parte dei giovani non fa più rima con vino da pasteggio. Quest’ultimo viene più che altro associato ai tempi lenti, ai gesti antichi della meditazione o del mondo contadino, alla sfera degli affetti e dell’intimità, a costose e ricercate degustazioni per intenditori ed esperti dell’enogastronomia, sotto l’occhio attento di sommelier che assaporano, annusano e sorseggiano.
Le peculiarità socio culturali si sono molto modificate, perché sono cambiate le circostanze di consumo e la quantità di alcol assunta: si è abbassata l’età in cui ragazze e ragazzi escono di casa e arrivano al primo bicchiere. La “storica sbornia caricata quella volta” sembra essere per la buona metà di adolescenti, se non uno status della raggiunta età, quasi una tappa iniziatica verso la maturità e una trasgressione come un’altra in un paese di moralisti, fatta giusto per scaldare e ravvivare i noiosi week-end in provincia.
È questa l’Italia delle birrerie, dei pub, delle discoteche e di tutti quei locali dove cade ogni genere di status per trasformarsi in altro, anche grazie a un goccio di troppo, anche solo per una sera.
E se anche trasgredire perde significato?

Sono 800 mila gli adolescenti italiani al di sotto dei 16 anni (età legale per la somministrazione, non sempre rispettata dai bar) che, specie nel fine settimana, consumano alcolici prediligendo, secondo un’inclinazione tutta inglese, birra, cocktail alcolici, colorati superalcolici in bottigliette e alcolpops contenenti vodka e rum (mascherati da innocui ready to drink analcolici), accompagnandoli raramente a qualcosa da mangiare. Secondo modalità sempre più frequenti di uso più che di consumo di alcol, certamente difformi alle tradizioni mediterranee.
Sta proprio qui, forse, uno dei motivi delle frequenti intossicazioni degli adolescenti: quello che proprio gli inglesi chiamano ‘binge drinking’, quel bere fino a ubriacarsi promosso con un’immagine di sano divertimento e socializzazione, che incita e stimola, quasi obbliga a continuare a bere.
L’alcol fa sentire adulti i giovani e rende giovani gli adulti, l’idea che “fa essere e fa fare” è in parte incentivata anche dalle case produttrici degli alcolici e dalle loro ammiccanti pubblicità, sempre legate allo sballo di una gioventù sorridente che balla felice.
Senza indulgere sulla progressiva uniformazione dei comportamenti o sulla giustezza di certe inclinazioni modaiole, sembra opportuno ricordare che la semplice sonnolenza, il vacuo senso di diffuso calore, la più piacevole euforia che allontana dalla più triste realtà si trasforma inevitabilmente in mancanza di attenzione.

Rispetto alla media europea che è di 14 anni, il nostro Paese detiene il record dell’iniziazione all’uso dell’alcol, che avviene tra gli 11 e i 12 anni. Tanta precocità giovanile rischia di diventare particolarmente pericolosa proprio per gli organismi al di sotto dei 14, e non giova nemmeno ai maggiorenni che si mettono alla guida.
Ogni anno, sono circa 8 mila i decessi sulle strade per incidenti stradali, la metà dei quali strettamente legati all’alcol, il cui abuso provoca il 10% delle malattie, il 10% dei tumori, il 63% delle cirrosi epatiche, ma anche il 41% degli omicidi ed il 45% degli incidenti, il 9% delle invalidità e delle malattie croniche.
In Europa un giovane su quattro, tra i 15 e 29 anni, muore a causa dell’alcol che anche in Italia costituisce il primo fattore di rischio di invalidità, mortalità prematura e malattia cronica tra i giovani.
Durante i ricoveri ospedalieri più “fortunati” si somministrano soluzioni fisiologiche per diluire gli effetti della sbronza, ma molte invalidità permanenti sono la conseguenza (evitabile) di una guida in stato d’ebbrezza. A questo proposito, progetti come quello del “conducente designato”, sulla scorta di analoghe esperienze fatte soprattutto nel nord Europa, vogliono favorire anche in Italia forme di dissuasione alla guida in stato di ebbrezza, in particolare all’uscita dalle discoteche.
Occorre considerare l’alcol come una droga legale, il cui uso occasionale non è da demonizzare se piace e aiuta momentaneamente ad evadere, ma il cui eccesso sfocia facilmente in patologia.
Senza ritorni al proibizionismo, va sviluppata una cultura del bere più corretta e moderata. Forse anche più nostra.

Torna l’assenzio, il liquore che stregò una generazione