cultura

Omaggio a Jean-Michel Folon, poeta dell’immagine e dei diritti degli umani e della natura

martedì 25 ottobre 2005
di Davide Pompei
Da tempo malato di leucemia, pochi giorni fa è morto il pittore belga Jean-Michel Folon, maestro riconosciuto del disegno e dell’acquerello contemporaneo. Folon è stato uno dei grandi protagonisti del panorama artistico europeo del XX secolo, un uomo dall’animo nobile oltre che artistico, profondamente sensibile ai temi culturali ed educativi, da sempre impegnato nelle battaglie civili, specialmente in difesa dell’ambiente e della natura, schierato in politica a sostegno della pace e promotore della non violenza e della tolleranza.
Nel 1986 Amnesty International gli propose di illustrare la dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, pubblicata in un milione di copie nelle sei lingue ufficiali dell’ONU.
Pittore e scultore di grande modernità, Folon ha sempre sottolineato nelle sue opere il ruolo decisivo della cultura e del pensiero razionale nel cammino della civiltà e si è distinto come autore di grandi campagne internazionali per i diritti dei bambini. Egli ha avuto una lunga tradizione di impegno a favore dei diritti umani, civili, politici e sociali; una delle più recenti testimonianze è stata il suo impegno per la campagna di sensibilizzazione per la FAO, promossa dal Comune di Roma. Nominato di recente ambasciatore dell’Unicef, si presentava come testimone ideale di quello stretto rapporto fra arte e ambiente, oggi sentito come prioritario da tanta parte della cultura contemporanea.

Il ministro francese della cultura parla di lui come di un artista eclettico e cosmopolita: “poeta meraviglioso, grande viaggiatore, ha lasciato un po’ dappertutto tracce del suo passaggio” finendo per creare nel 2000 una fondazione a suo nome che ha lo scopo di trasmettere il suo messaggio artistico, che è quello di ascoltare la bellezza della natura, con un’immaginazione, una generosità e una tenerezza senza pari.
Nel giro di poco tempo Folon si è fatto conoscere ed amare anche dal pubblico italiano, oltre che dalla critica internazionale che lo considera fra i maggiori scultori contemporanei. Gli sono state dedicate numerose mostre antologiche al Metropolitan Museum di New York, alla Pedrera di Barcellona, al Musée Olympique di Losanna e al Castello S. Jorge di Lisbona.
Il suo ultimo impegno è stato la grande retrospettiva delle sue opere aperta a giugno scorso a Firenze, città alla quale Folon aveva regalato una sua opera come premio per aver accolto il Forum Sociale Europeo del 2003, iniziativa di cui condivise i principi.

Quella di Firenze è stata la più grande mostra antologica in Italia dedicata alla sua arte (l’affluenza di quasi 50.000 visitatori aveva spinto l’organizzazione a prorogare la mostra fino al 2 ottobre): 250 opere ambientate nella Sala d’Arme di Palazzo Vecchio e negli spazi interni ed esterni del Forte di Belvedere. Sculture in bronzo, pietra e marmo, acquerelli, serigrafie, objets e collages.
Fu l’artista stesso a confessare: “Ça c’est l’exposition la plus importante de ma vie”, riconoscendo come l’appuntamento fiorentino rappresentava per lui una sfida importante e irripetibile.
Un percorso evocativo in cui trovano spazio tutti i suoi temi preferiti: il Volo, il Viaggio, lo Sguardo, il Pensiero, gli Uccelli, l’Arcobaleno, il Tempo, il Mare, narrati con grande potenza evocativa e straordinaria intensità espressiva e poetica.
Il protagonista delle opere di Folon è “Il Signor Qualcuno”, una sorta di doppio a cui l’artista affidava il suo sguardo sul mondo. Nelle sue sculture colpisce la straordinaria leggerezza, il senso di incanto e di sorpresa, la capacità sempre rinnovata di mettersi in gioco.
Dei suoi acquerelli, rimane la dolce atmosfera sfumata, i toni slavati che aprono una spiraglio sul nostro inconscio; i colori del Folon pittore sono sorprendentemente tenui, impalpabili, quasi fluttuanti. Eppure il senso di leggerezza non vi risulta così evidente come nelle sculture, anzi, questa sezione aiuta a scoprire anche in esse quel tanto di disagio e di malinconia, che si intuiva ma non si riusciva bene a mettere a fuoco.
Le sue opere parlano, forse, anche dell’inconsistenza e della fragilità della condizione dei contemporanei, dentro la vertigine di una realtà che non si riesce più ad afferrare e che sembra acquistare senso solo nello sguardo solitario di un sognatore.
Un tipo come lui, che diceva “scolpire è tendere trappole alla luce”.