cultura

Jazz, pop e folk. Daniele Sepe in concerto alla Festa di Liberazione

giovedì 4 agosto 2005

Evento clou, sabato 6 agosto, nel "pacchetto spettacoli" offerto dalla Festa di Liberazione, che si sta svolgendo ai Giardini Pubblici di Sferracavallo. Sarà infatti un'occasione per ascoltare, dal palco centrale alle ore 21.00, un artista originale e interessante, oltre che sicuramente ed esplosivamente imprevedibile, come Daniele Sepe.

Nato a Napoli nel 1960, diplomato al Conservatorio di San Pietro a Majella di Napoli, Daniele Sepe si è sempre interessato a tutti gli aspetti del fare musica senza fare distinzioni tra generi e linguaggi. A soli 15 anni entra a far parte del Gruppo Operaio di Pomigliano D’ Arco ‘E Zezi con il quale pubblica il disco Tammurriata dell’ Alfa Sud. Per anni lavora come turnista dal vivo o in studio con le più diverse situazioni, da NCCP a Bisca, dai 99 posse a Peppino Gagliardi, dagli Akenaton a Nino D’ Angelo. Poi riesce a metter da parte i soldi per autoprodursi il primo disco Malamusica con il quale inizia una carriera solista che lo porterà a realizzare a tutt’oggi più di 10 cd tra i quali ricordiamo il successo di Vite Perdite, Viaggi fuori dai paraggi ,Conosci Victor Jara?”e l’ ultimo Nia Maro.
L’ incontro con la cantante svedese Auli Kokko è cruciale per rendere la sua musica godibile a un pubblico più ampio rispetto ai soli appassionati di jazz. Con il suo gruppo, “Art Ensemble of Soccavo”, partecipa a innumerevoli festival jazz o world in Italia e soprattutto all’ estero. Ad esempio il mitico Sziget Festival a Budapest o il Womad di Bruxelles e Marsiglia. Produce musica per i film di Davide Ferrario, Gabriele Salvatores, Antonietta De Lillo, Mario Martone, Gianfranco Pannone e tanti altri.
I suoi dischi, nonostante l’ evidente propensione alla non “commerciabilità”, scalano innumerevoli volte le classifiche italiane ed estere. Non ama, dal vivo, ripetere troppe volte la stessa “scaletta”, e spesso neanche i suoi musicisti sanno dove andrà a “parare” l’ esibizione della sera.
Vorrebbe diventare “benestante” senza imbrogliare o derubare nessuno…

Di lui hanno scritto:

Puoi chiamarlo internazionalismo, come facevano gli Style Council prima che il rock lo mettesse al bando. Puoi sognare che sia lo spiritus mundi, tornato a farsi vivo tra le righe di uno spartito. Ma alla fine è musica meticcia che mischia le saltarelle della Ciociaria con i suoni del Mediterraneo, le tammurriate con le ballate di Brassens, i canti popolari di Otello Profazio con le note cupe di un Fender Rodhes che rincorre la voce di Orson Welles e della sua Guerra dei mondi. Il sassofonista Daniele Sepe ha dosato con cura e intelligenza gli ingredienti del suo ultimo cd, Nia Maro, offrendo una pietanza che ha il sapore delle migliori incisioni della Liberation Music Orchestra, il gusto di una tradizione reinventata che rimanda ad Albert Ayler, l' aroma solido della filologia speziato dall' anarchia stilistica di Frank Zappa. Ascoltandolo vien voglia di zompettare come faceva la Lollo in Pane, amore e gelosia o di precipitare in un notturno americano che ha l' acidità degli incubi.

 Enzo d' Errico Corriere della Sera

Veraspina dorsale ritmica di Napoli, la tammurriata è sempre pronta - accade spesso al sud - a piegarsi al padrone di turno, cioè l' interprete. Sono 15 anni che Sepe scava tra jazz, pop e folk (Est, Islam, Nord europa). Ultima tappa , questa tammurriata sposata al Miles di Bitches Brew: un incanto...

Angelo Aquaro - Venerdì di Repubblica

...Se di viaggio in musica si tratta, qui i viaggiatori sono confusi e felici di aver perso la rotta, di avere la bussola fuori uso, ma i sensi più che mai infunzione. E naufragar è dolce per l'ascoltatore in compagnia della ciurma dell'accolita sepiana: gli aficionados sono rappresentati dall'ugola cosmopolita di Auli Kokko, Massimo Ferrante, gli Art Ensemble of Soccavo; le new entry dal tunisino Marzuk Mejiri, i Terragnora di Matera e un pugno di viaggiatori newpoletani sospesi tra jazz e suoni veraci (Antonio Onorato, Salvatore Tranchini, Aldo Vigorito , Marco Zurzolo e Gino Evangelista). La dedica al «compagno Mario Scarpetta», la voce di Orson Welles che annuncia alla radio la notizia della (falsa) invasione marziana degli Stati Uniti, le belle foto del libretto che mostrano la resistenza di antichi riti popolari alla globalizzazione incalzante: «Nia maro» è anche questo, un segnale di disperata difesa di spazi sottratti alla normalizzazione, sonica e non, al leccisismo culturale, alla banalità quotidiana della musica-fast food. Brano dopo brano, le scansioni solari del reggae giamaicano si alternano a quelle più cupe della Sicilia di Rosa Balistreri o a strane fughe in Epiro. «Mar nostro vuol dire che il mare non è solo di D'Alema con la sua barca, o di Previti con la sua barca», spiega Sepe sul suo sito (www.danielesepe.com), «ma soprattutto di quelli in gommone e di me in canoa... Forza Livorno!».

 Federico Vacalebre - Il Mattino

Molto bello questo Nia maro che esce, come ormai consuetudine, per la collana del Manifesto. Si tratta di un efficacissimo e per nulla stucchevole nè oleografico viaggio musicale che spazia dalla tammuriata stradaiola a Brassens, dalla musica egiziana ad un affascinante excursus nel jazz rock dei 70, calorosamente analogico, che ricorda molto da vicino i Napoli Centrale di James Senese. Il suono risulta (cosa rara di questi tempi) "vero",mosso da un'urgenza espressiva reale. Insomma, il disco dà l'idea di avere avuto una gestazione "necessaria", con un senso compiuto a legittimare la sua pubblicazione. Oro colato, credetemi!

 Per DiRadio: Luciano Marcolin

Daniele Sepe, un tuffo nel mare delle civiltà Intervista col musicista napoletano per l'uscita del nuovo cd, «Nia Maro», presentato ieri a Napoli Pezzi di autonomia proletaria Tra tammurriate e tradizionali arabi, un accidentato giro del Mediterraneo che mette insieme Brassens, Zivago, Davis dando libero sfogo a tutte le invenzioni del musicista flegreo. Tribuno torrentizio dal vivo e polistrumentista etnico-popolare su cd, Daniele Sepe ha appena pubblicato Nia Maro, per le edizioni del manifesto, quattordicesimo album in quattordici anni di carriera, dai tempi degli esordi coi Zezi. Che vorrà dire il titolo? Citazione dialettale? Greco? Romeno? «E' esperanto, significa mare nostro. Ne conosco qualche vocabolo perchè a quindici anni frequentavo il Centro di autonomia proletaria, la versione anarchica di autonomia operaia, a Montesanto. E lì tra un Max Stirner e un Peter Kropotkin c'erano manuali, appunto, di esperanto che reputo un originale tentativo di creare una lingua realmente democratica». Il coerente e variegato leit motiv apolide dei lavori anni `90 si imprime anche nelle corde di Nia Maro, un'ora di brani dai sapori forti e diversi. «Il concept dell'album è il concept di tutti gli album - osserva - Vite Perdite del `94 iniziava con un pezzo della Grecia del I secolo, si alternavano tonalità in stile Atahualpa Yupanqi ad una ninna nanna svedese. Tutti parlarono al tempo di una cosa geniale che chissà cosa cavolo volesse dire. In realtà non c'è stata mai nessuna frattura nel mio modo di lavorare: ho sempre faticato così, sorvolando le facili inquadrature di genere». Quindi guai a dire «disco eclettico»; e il cielo ci scampi dai paragoni con Zappa. Etichette che per Sepe sono cibi freddi. «Meglio una bella critica - aggiunge, sornione - che una non-critica, o un accostamento gratuito a divinità musicali, almeno ne esce qualcosa di costruttivo». Autopsia del disco: dieci brani la cui architettura esce fuori dai girotondi sonori di 18 musicisti, Sepe compreso, alle prese con un carnevale organizzato da 26 strumenti diversi, dalla darbuka alla cupa-cupa basa, dalla chitarra 12 corde alla fisarmonica. Ad esordire è Tammmurriata, nove minuti in cui gestire la tradizione e giocare a farle una casacca nuova. «E' un rimescolare musica antica da parte di chi ha ascoltato in abbondanza Miles Davis». E facendo fischiare le orecchie a Eugenio Bennato aggiunge «l'ho fatto anche per dimostrare che la tradizione non dev'essere ripresa necessariamente intatta». Anche Lamma Bada è un must, però egiziano: «per tradurne il testo ho avviato una sorta indagine, durante la quale ho scoperto che si trattava di arabo antico. I quattro madrelingua interpellati me ne davano ognuno un'interpretazione diversa...Lamma Bada è una canzone emozionante anche se non si capiscono le parole. E' l'universalità della musica: pure un giapponese sentendo 'O Paese d'o Sole si emoziona!». E poi la voce del maghrebino Mrzuk Mejiri, straordinario cantante e musicista dilettante, «scoperto» da Sepe qualche anno fa quando faceva il bagnino a Bacoli. In Les amourex des bancs publics il fiatista flegreo va a braccetto col suo vecchio amore George Brassens, il cantautore anarchico che conta una lunghissima catena di devoti. «De Andrè, Capossela, Cammariere ne sono sicuramente debitori. Ciononostante in Italia continua ad essere poco conosciuto, Nanni Svampa a parte». Poi, finestre che affacciano su Sicilia, Grecia, Tunisia. Il Mediterraneo è il contenitore, inteso di gran lunga più come bacino dalle disparate identità che come spazio geografico definito. «Il disco musicalmente mette insieme, senza retorica, intuizioni che vengono dal Mediterraneo, un'area dove non è vero che tutto ci unisce, anzi. Si dice `una faccia una razza', sì , ma a seconda del reddito». Le immagini del booklet vincono un'intervista a parte. Catturano particolari della festa delle lucerne di Somma Vesuviana in Campania, col suo vortice sconnesso di fiammelle e soprattuto restituiscono in scorci sanguinolenti la via crucis di Verbicaro in Calabria. L'impatto con il rito dei «battenti» calabresi è allucinante: uomini vestiti di rosso che, dopo la mezzanotte, con «u cardiddu» (pezzo di sughero in cui sono conficcati aghi di vetro) si percuotono le gambe a sangue per seguire il percorso della croce, secondo il costume delle confraternite medievali. Contrariamente al solito, il musicista partenopeo non ha aggiunto alcuna didascalia alle foto «innanzitutto perchè si commentano da sole, e poi in quanto potrebbero essere state scattate a Falluja, a Nassirija o in un pellegrinaggio sciita. Le manifestazioni violente della fede evidentemente non riguardano solo una certa parte del mondo, come vorrebbero farci credere». Il tour? «Perchè a qualcuno risulta che con i miei sette musicisti programmo il tour? Quando ci chiamano, aizamm' n' cuoll', cioè ci carichiamo gli strumenti e andiamo a suonare».

 Sandro Chetta - Da "Il Manifesto" del 19/12/04

http://www.danielesepe.com/