cultura

"Molto proficuo il rapporto tra le università Usa ed Orvieto"

giovedì 26 febbraio 2004

Ospitiamo un intervento del professor Claudio Bizzarri in risposta ad un precedente editoriale firmato dai rappresentanti dell'associazione Orvieto Provincia in merito ai corsi di formazione che vengono organizzati ad Orvieto:

 

Devo dire che è con estremo dispiacere che leggo sul vostro foglio elettronico il comunicato stampa di Orvieto Provincia contenente una serie di affermazioni che ritengo fuori luogo e, cosa ancora peggiore, false e fuorvianti. E tutto questo poi al termine un viaggio di ritorno - durato quasi 24 ore  - proprio da una di quelle università americane che “giocano” con gli Orvietani e con la città a “farsi ospitare” per svolgere corsi, corsini, corsetti estivi” che sarebbero stati fatti passare “agli occhi degli Orvietani quali attività universitarie”.

 

Per quanto riguarda il mio impegno con atenei stranieri non mi è giunta alcuna richiesta di informazioni da parte di chicchessia ( ed essendo io il program coordinator per l’Università dell’Arizona non vi possono essere fonti alternative) devo quindi supporre che quanto esposto nel testo del comunicato stampa o non si riferisse alla mia università o che le informazioni ivi contenute siano frutto, nella migliore delle ipotesi, di disinformazione.

 

Chi mi conosce sa bene che non sono uso a battibecchi e tanto meno a diatribe di alcun tipo ma è proprio per la diffusione della notizia e per la corretta percezione della realtà che al cittadino è sacrosantamente dovuta che mi trovo costretto a chiarire alcuni punti.

 

Come ho già accennato sono di ritorno da un viaggio “lampo” (una settimana) nell’ateneo statunitense di Tucson in Arizona, dove, oltre ad una paio di conferenze su temi prettamente archeologici (a proposito di valorizzazione dei Beni Culturali della città di Orvieto!!), ho partecipato alle iniziative dello Study Abroad Office (l’ufficio che è dedicato alle attività di studio all’estero) della University of Arizona che, congiuntamente con il Dipartimento di Studi Classici, si è profondamente applicato negli ultimi due anni per la nascita dell’IISCUO (Istituto Internazionale di Studi Classici ed Umanistici di Orvieto) che opera in collaborazione con la Fondazione Centro Studi Città di Orvieto (CSCO).

 

Per farla breve e per eliminare gli altisonanti nomi in lingua straniera, di che cosa stiamo parlando? Di un istituto tramite il quale ad Orvieto si svolgono semestri di istruzione a livello universitario, che non sono riconosciuti od equiparati a quelli dell’università statunitense (in quanto il riconoscimento o l’equiparazione presuppongono già in partenza una natura diversa) ma sono in partenza individuati legalmente quali corsi istituzionali dell’ateneo statunitense.

 

Si tratta di corsi che trovano il loro preciso corrispettivo in Arizona, che forniscono allo studente che li frequenta i crediti universitari per i quali otterrà regolare certificazione sul suo curriculum – non in Italia ma negli USA!; non credo che interessi in questa sede sapere quali siano i codici ma basti sapere che si tratta di discipline quali Latino, Greco Antico, Etruscologia ed Archeologia Italica, Archeologia e Storia dell’Arte Romana, Tecniche della Ricerca Archeologica. Proprio giovedì scorso sono stati aggiunti corsi riguardanti la narrativa in lingua inglese ed il dramma moderno mentre sul versante delle arti applicate altri due sono i corsi nuovi: disegno e sviluppo concettuale. Si tratta di due nuovi dipartimenti (Visual Art Department e English Department) che faranno parte dell’IISCUO e che concorreranno sia da aumentare l’offerta dei corsi che ad implementare il numero delle presenze.

 

Ritengo che questo sia un quadro sufficiente a far capire che qui nessuno “gioca”, a nessun livello, anche perché non è stato facile organizzare l’Istituto, per farlo funzionare necessitano vere professionalità, si tratta di una realtà in crescita che non è competitiva con altre che potrebbero vedere la luce in un futuro più o meno immediato ma che, è un dato di fatto, oggi esiste e già lavora, creando anche un indotto, mentre molte altre sono ancora, nella migliore delle ipotesi, sulla carta.

 

Passiamo quindi all’aspetto dell’ospitalità, un termine che nel comunicato stampa presuppone un esborso economico – diretto od indiretto -  da parte della comunità orvietana. Il redattore del comunicato evidentemente ignora che esiste un agreement – un accordo – fra Università dell’Arizona e Fondazione CSCO che presuppone un piano di collaborazione il quale, per quanto riguarda proprio l’ateneo straniero è a carattere oneroso. L’Università dell’Arizona è ospite della città di Orvieto nel senso omerico del termine, in quanto Ente gradito, ma non economicamente sostenuto, anzi. Vorrei anche citare alcuni dati emersi da uno studio elaborato dall’IRPET (Istituto Regionale Programmazione Economica Toscana), che ha analizzato i programmi universitari nord americani in Italia nel 2000: si tratta di dati di carattere economico che credo siano poi alla base di tutte le speculazioni effettuate sul tema “Università ad Orvieto” (chi ha toccato tale tema si metta una mano sulla coscienza e rifletta almeno per due minuti!), forse anche travalicando l’altro e più grande valore che è proprio quello culturale.

 

In uno dei capitoli intitolato “I Programmi come Aziende” si mette in risalto come, sulla base del campione preso in esame (non si tratta quindi della totalità di quanto avviene sul suolo nazionale), si raggiungano cifre di tutto rispetto proprio nell’ambito di quei comparti che dei programmi universitari rappresentano i servizi. La cifra media che per semestre uno studente straniero si trovava a dover approntare era di ca. 15 milioni delle vecchie lire per quanto riguardava l’alloggio, con varianti significative per il vitto e ciò che si definisce “voluttuario”. Il campione era ovviamente tarato su realtà quali Firenze e Roma e su atenei dalla consolidata presenza in Italia e deve quindi essere contestualizzato ma rimane un dato di estrema importanza.

 

Con questo ritengo si sia data una corretta informazione ai cittadini sulle modalità di ospitalità attuate nella loro città, in Orvieto, sulla serietà dei corsi tenuti, sull’impegno che alcuni di noi stanno mettendo per creare “cose nuove”, sulle prospettive future e sul contributo che tali iniziative possono dare alla vita di una cittadina ricca di Beni Culturali. Da notare anche che la riscoperta di questi passa anche proprio attraverso gli studenti “stranieri”: è infatti l’Università di Macerata che, congiuntamente con la Soprintendenza per i Beni Culturali dell’Umbria, scava a Campo della Fiera sotto la direzione di Simonetta Stopponi;  fra coloro i quali hanno sopportato condizioni climatiche estreme sono ancora da annoverare, fra i tanti (pochi però gli Orvietani!), anche studenti dell’Università dell’Arizona, alcuni dei quali ritorneranno a campo della Fiera per la seconda volta e non certo a “giocare”.

 

A conclusione di questo mio sfogo (forse dovuto più al jet-lag che ad altro) vorrei augurarmi che tutto questo fervore d’interesse nei Beni Culturali e nella creazione di nodi universitari nella città di Orvieto non finisse poi semplicemente col promettere “un milione” di studenti, pronti a svanire come neve al sole dopo il “caldo” mese di Giugno.

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