cultura

La strana storia delle sei vedove che vivono recluse.

giovedì 14 febbraio 2002
Dal reportage di Giuliano Santelli del 14/2/2002

"Dal luglio 1999 6 vedove anziane serbe vivono "prigioniere" in un monastero ortodosso al centro di Gjacova. Dall'aspetto sembra un fortino, reticolati di filo spinato, soldati italiani in assetto da guerra a protezione della struttura. I termini della recente storia qui sembrano rovesciati, sono i Serbi ad essere vittime predestinate della tragedia lasciata dalla guerra.Un Monastero, luogo di pace e preghiera, entriamo scortati dai paracadusti, dentro ci riceve Nada, una signora di circa 70 anni,ai muri di cinta interni altri nostri militari, qui la consegna è precisa, colpo in canna, pronti a proteggere le anziane signore dai tentativi di linciaggio dei Kosovari. il Monastero all'interno ha una chiesa ortodossa, icone, un altare, piccole candele bruciano in un braciere. Nada ce ne offre alcune, ci ringrazia per la visita, ci racconta che per uscire, l'unica a poterlo fare, è sempre scortata dai nostri soldati, scorta che non la salva dagli insulti e a volte dalle pietre. Davvero credere che tutto possa presto "riconciliarsi". I nostri soldati se dovessero andarsene dopo pochi minuti tutto si trasformerebbe in rovine e morte. L'aria è carica di tensione, eppure qui dentro sembra esserci un'aria di meditazione, di spiritualità simile alle nostre chiese. I nostri soldati cercano di mantenere buoni rapporti sia con i pochissimi Serbi rimasti che con i Kosovari, impresa non semplice, eppure forse proprio per questo sono ben visti da entrambe le parti. Nada ci ha chiesto medicinali, insuline per il fratello diabetico, ci ha salutato in italiano, augurandoci fortuna e felicità . Lo sguardo è fiero,si capisce che paga colpe non sue, ma di una situazione più grande di Lei e delle sue compagne di "prigionia". A Gjacova i Serbi non hanno scherzato, qui vivono 160.000 persone, i morti sono stati 750, 140 ammazzati tutti insieme, 21 sono ancora prigionieri in Serbia. Il Sindaco Agif Shehu è un uomo alto con i baffoni, ci parla della sua città ci racconta che qui il livello medio della popolazione aveva una scolarizzazione medio alta, che il tessuto economico era molto sviluppato,ora con fatica si cerca dalle macerie di ricostruire speranza e lavoro. I segni nella città sono di ripresa e grazie agli aiuti internazionali si cerca di ripartire. Gjacova negli anni 90 aveva 25.000 occupati, 18.500 nell'industria, 4000 nel terziario, 2000 in aziende private. L'economia mista era una realtà , come la convivenza tra le etnie, la guerra e l'odio hanno spazzato via tutto. Infrastrutture, nuove tecnologie, sono una drammatica emergenza, in particolare nel settore dell'ambiente.Qui si lavora l'oro e l'argento e ci si sta attrezzando per operazioni di partnerschip con l'estero. Gli Italiani sono ben visti, e qualche piccola attività produttiva prova a decollare anche in assenza di un certo quadro di riferimento legislativo ed econimico. Partiamo in colonna con la scorta armata, sono le 11 di mattina, andiamo verso la periferia, sopra di noi volteggiano con insistenza due elicotteri Mangusta, normale addestramento, ci rassicura il Ten. Colonello Salucci, lungo la strada di campagna per andare a Bec un cartello rosso indica Mine, il panorama è quello di una campagna che doveva essere ben curata e fertile. La cooperativa agricola di Bec era una delle più grandi della ex Jugoslavia, il suo Presidente un Contadino dalla faccia dura, dai modi gentili e dalle idee chiare ci racconta di come questa attività era fiorente. 1200 ettari di terra coltivata, 170 ettari di vigneti che producevano vino esportato in Germania, 1 cantina sociale di prim'ordine;60 ettari di prugneti, 53 ettari di ciliegeti un grande allevamento di polli con annesso macello, una produzione giornaliera con polli provenienti da tutto il Kosovo di 17.000 unità".