cronaca

Polemiche, scontri e politica: i ricordi di chi negli anni 80 amministrava il paese

venerdì 15 luglio 2016
Polemiche, scontri e politica: i ricordi di chi negli anni 80 amministrava il paese

I Cinque anni di football americano hanno sostanzialmente mutato la struttura sociale e politica di Castel Giorgio. Al di la delle valutazioni sulla possibilità di vedere in quello sport una prospettiva per il paese, o l’opportunità di saper sfruttare la riqualificazione degli impianti, i castelgiorgesi si sono sempre divisi su quella vicenda, tanto da condizionare il futuro politico e aprire delle spaccature tutt’ora insanate.

La Democrazia Cristiana di allora, il partito di Giuseppe Calistri, si lacerò in due tronconi, gli stessi partiti di destra cambiarono atteggiamento nei confronti di quell’amministrazione prendendo una propria linea. L’allora Partito comunista ebbe l’opportunità di attrarre consensi, finché il panorama politico nazionale non si sgretolò sotto i colpi della bufera anni Novanta assestando, nel microcosmo castelgiorgese, quelle che sono le realtà politico-sociali di oggi.

Le tensioni erano forti, a fare scalpore più di qualsiasi altra cosa fu un articolo di “Repubblica” firmato da Oliviero Beha, chiaramente con uno stampo vicino agli oppositori “calistriani”. L’ex sindaco di alcuni anni fa, Luciana Ambrosini, allora all’opposizione dichiarò sulle colonne di Repubblica: “Mai visto uno stadio costruito in un mese, realizzato con le prestazioni bracciantili di mano d’opera che non era in regola e veniva quasi nascosta”. Anche lei, da Sindaco, messe mano allo stadio progettando i sottopassaggi, ma mai ha avuto il piacere di terminarli. L’arringa degli oppositori parlava di omertà, “Qui è come la Sicilia”, e dell’atteggiamento violento dei giocatori che venivano in paese. “A me hanno detto: - dichiarò sempre l’Ambrosini – pensa che tuo fratello è militare, pensa alla casa e alla famiglia”.

Un clima apparentemente invivibile, quasi da coprifuoco; in realtà qualche comportamento non fu decisamente ortodosso, danni ce ne furono, ma di estrema violenza non si è mai registrato nulla. Dalle dichiarazioni rilasciate a Beah c’erano, anche questioni più reali che facevano da contro altare alle spese, eccessive, dello stadio, come la mancanza di una rete fognaria per tutto il paese, un servizio idrico adeguato, l’asfaltatura delle strade, una biblioteca, una sala riunioni (a proposito sono passati 25 anni, due amministrazioni, Bergami e Ambrosini, ora inizia Pier Luigi Peparello, ma di sala riunioni nemmeno a parlarne) e una struttura per il pronto soccorso.

La notizia arrivò all’improvviso – ci dice oggi il Professor Antonio Casasoli, a quel tempo alla minoranza e intervistato anche lui da Beah, in seguito ricoprirà la carica di assessore comunale e consigliere provinciale del Pci – Da parte nostra la considerammo una proposta non adatta elle reali esigenze e necessità del paese. Costruire un campo da football dove c’era già un campo di calcio, per di più smantellato e sottratto all’allora squadra paesana, indebitare il comune per somme molto elevate, era qualcosa di inopportuno e avventato. Allora non c’erano tanti passatempi, il calcio era l’unico passatempo, se tagliavi quello cosa rimaneva? Successivamente, dopo tante proteste, fu costruito un secondo campo per permettere alle squadre di giocare a calcio. Furono realmente fatti degli interventi edilizi in fretta e in furia senza le dovute cautele in termini di manodopera e quant’altro. Queste forzature da parte della giunta di allora portarono un malcontento anche all’interno della stessa maggioranza che porto alla staccatura del centro destra, e poi porto alla sconfitta elettorale dello stesso Calistri”.

Anche il prete, il compianto Don Decio Cambri si scagliò contro l’amministrazione dicendo una frase rimasta storica: “Io non lo benedetta la cattedrale. Hanno dovuto chiamare il Vescovo (Decio Lucio Grandoni n.d.r.), io sono contro il sindaco anche se è del mio partito, anzi lo era”.

In quella Democrazia Cristiana c’era anche l’attuale vice sindaco, Sandro Focarelli, a quel tempo Assessore allo sport. “Ritenevamo che quel sogno diventato realtà potessero essere un’opportunità per il paese – ricorda con soddisfazione l’attuale vice sindaco, Sandro Focarelli – Il quel periodo, Castel Giorgio, offriva ben poco sotto l’aspetto promozionale e turistico. L’opportunità che ci si presentò di fronte, di avere nel nostro paese una struttura del genere la ritenemmo una ottima possibilità, magari si poteva dare vita ad un flusso turistico riferito al football, come in realtà è successo per breve tempo. Castel Giorgio era l’unico impianto sportivo dedicato al football americano in tutta Europa. Le attenzioni dell’America verso la nuova lega europea e verso il nostro impianto erano tante. Stavamo aspettando che il Coni riconoscesse il football americano per cedere la struttura alla gestione della comitato olimpico. Per fare un esempio Castel Giorgio poteva diventare per il football, quello che oggi rappresenta Coverciano per il calcio. Lo stadi Vince Lombardi era il centro tecnico nazionale, era l’unico stadio in Europa esclusivamente attrezzato per il football. Ricordo che io stesso seguivo i colloqui e gli incontri con le delegazioni europee e americane, senza nessuna presunzione eravamo considerati il fiore all’occhiello del movimento del football europeo; mi sono incontro più volte con i rappresentanti della Nike in Europa. Sia nel periodo pasquale che in quello estivo venivano squadre dalla Germani ad allenarsi, poi c’erano tutte le squadre italiane che giocavano in pianta stabile a Castel Giorgio. Si stava pensando di costruire un villaggio sportivo. Avevamo già contattato alcune ditte italiane per acquistare delle case prefabbricate in legno dove allestire dei dormitori da quaranta persone ciascuno, la mensa, la sala incontri. La struttura era la migliore in assoluto, oltre al campo di gioco c’era un altro campo che veniva usato per il calcio, ma poteva essere benissimo usato per l’atletica, a poca d’istanza c’è la pineta dove poter fare footing, in somma una ambiente ideale per costruirci qualcosa intorno. Il sistema era in movimento, ci eravamo rivolti a delle persone di Castel Giorgio che dovevano lavorarci, poi è sfumato tutto; le elezioni non ci hanno dato ragione e il sogno è finito. Ancora oggi credo che quell’esperienza poteva portare Castel Giorgio ad avere qualcosa di importante”.

L’attrazione del football era, chiaramente, tutta nello spettacolo di quei giocatori gonfi dalle armature, con il casco in testa e con le divise colorate che in pieni anni ottanta avvicinavamo non poco al mito degli states. Oltre che giocatore, ma soprattutto la voce più autorevole per ricostruire la storia del football in Italia e a Castel Giorgio è Fausto Batella autore di diverse pubblicazioni sull’argomento, giornalista, e direttore della casa editrice “Campi di Carta”.

“Tra Castel Giorgio e il Football americano c’era un rapporto molto casuale – ci racconta Batella – Un’avventura partita troppo presto rispetto a quelli che sono stati glia anni d’oro di questo sporta in Italia e con poche risorse. Rispetto al Baseball, che si è diffuso in Italia nel dopo guerra grazie alle truppe americane, il football è uno sport difficile da giocare e soprattutto molto costoso. In quel periodo il football era stato visto solo nei film, era qualcosa di affascinate, ma difficile da mettere in pratica. Con la Lif iniziò a crearsi un movimento più organizzato e nacque la necessità di disporre di una struttura specifica per il football, una sorta di arena. Sono tante le voci che stanno dietro alla scelta di realizzare lo stadio a Castel Giorgio, quale sia quella vera non lo so, sta di fatto che in pochi mesi si diede vita a un sogno. Tutto fu organizzato alla perfezione: le tribune, lo stadio, il tabellone, le porte, la pubblicità, i giornali e le televisioni nazionali, le coreografie e i tifosi; un vero e proprio spettacolo. Il segreto stava esclusivamente nella possibilità di fare spettacolo, di attrarre, di creare l’evento, un’intuizione formidabile partorita da uno personaggio straordinario come era Bruno Bennek. Dopo essere stato per anni regista de ‘La domenica sportiva”, aver lanciato il Baseball in europa, dopo essere stato uno dei fautori per inserirlo negli sport olimpici, Bruno Bennek partì per questa avventura con tutta la sua professionalità, ma forse Castel Giorgio arrivò troppo in fretta, troppo presto per riuscire ad avere un seguito adeguato. Gli anni d’oro del football sono stati quelli dopo il 1985 e se il centro di Castel Giorgio fosse arrivato in quegli anni qualcosa sarebbe cambiato. Certo c’erano dei problemi logistici, come il decentramento del paese rispetto a centri importanti e la mancanza di strutture ricettive, ma tutto si poteva migliorare. Guidato dai ricordi, che sono sempre migliori rispetto a quella che la realtà, quello di Casetl Giorgio era un progetto serio che poteva essere una grande occasione per il paese. Qualche problema di convivenza con i giocatori era nato, quando tutte le docce erano aperte si diceva che in paese non arrivava l’acqua, c’erano le polemiche e c’erano le questioni politiche, ma credo che non c’era da incolpare nessuno. Il football è sceso a Castel Giorgio come dei marziani da un’astronave ed è logico che la gente reagisca in un certo modo. Allora si stava lavorando per realizzare una grande struttura alberghiera, ma non ce ne fu il tempo, Giuseppe Calistri perse le elezioni e il nuovo sindaco chiuse i cancelli dello stadio. C’erano stati dei contatti con grandi campioni italo-americani disposti a venire in Italia per fare degli stage estivi, ma tutto andò in fumo. Dulcis in fundo penso che sia stata proprio un’occasione persa”.

La nostalgia di chi in quegli anni vestiva il casco è rimasta forte anche a distanza di 25 anni, come succede a Potito Spadavecchia, orvietano che nell’1985 spinse per allestire la squadra dei Castel Giorgio Mowers. “Tanti ricordi mi legano a quell’esperianza – dice Potito SpadavecchiaIo prima di arrivare a Castel Giorgio avevo giocato a Roma, conoscevo il football e insieme a un gruppo di ‘matti’, nel senso bonario del termine, mettemmo su quella squadra. Noi più che più ci allenavamo, giocammo solo un paio di partite allo stadio Vince Lombardi, poi l’impianto fu chiuso e dovemmo spostarci a Viterbo, dove disputammo un campionato di serie C. Giocare a football significava improntare parecchi soldi, una singola muta costava circa 500mila lire, un somma alta per quel tempo. Fortunatamente trovammo un’azienda di computer di Perugia che ci fece da sponsor e potemmo comprare, anche auto tassandoci, sia le mute che le divise. L’esperienza durò poco, cambiata amministrazione ci sbatterono la porta in faccia e ci cacciarono via; a quel punto si spostammo prima a Viterbo e poi a Perugia. Il football destava molta curiosità e inizialmente le partite erano seguite, è chiaro che tra chi veniva a vedere le partite il grosso era composto da famigliari e amici dei giocatori. Il football americano poteva apparire una grande opportunità per il paese, ma poi non c’è stato seguito a livello nazionale, forse si poteva tentare di cavalcare l’onda e poi modificare il tiro quando diventava necessario”.

Una lunga storia di occasioni perse, ma anche di errori o limitazioni che per Castel Giorgio non hanno determinato un trampolino verso chissà quale meta. Ad oggi quella di Castel Giorgio è la struttura sportiva del comprensorio orvietano più attrezzata, due campi da calcio in erba possono permetterseli in pochi, (considerando il costo dell’acqua per innaffiarli), ma rimangono lì forse in attesa che torni a calpestarli un sogno.

 

 

Tratto da: OrvietonewsMagazine Anno 2 Numero 24 del Dicembre 2005, articolo a firma di Gabriele Anselmi