costume

Festa come da copione e ritorno (parziale) alla tradizione per la Palombella

lunedì 28 maggio 2007
di davidep
Muti di fronte alla malvagità umana, come recitava un loro cartello. Imbavagliati di nero o con un becco finto, così da provare la medesima silenziosa impotenza che sente il loro amato volatile. Confinati ancora più a margine della piazza, sotto le arcate del Museo Greco, limitandosi al massimo a divulgare, coraggiosamente, qua e là qualche volantino polemico. Gli animalisti hanno osservato così l’edizione di quest’anno della festa orvietana che, tra folklore e fede, apre il lungo mese medioevale. Gioco antico e collaudato, quello delle parti disaccordi. Storia vecchia e stanca, questa della Palombella, che dopo i mediocri compromessi architettati lo scorso anno, è tornata a far esplodere, seppur in forma ridotta, i mortaretti sul sagrato del duomo. Piazza affollata, ma nella norma. Applausi scroscianti e palloncini che fuggono, come da consuetudine, in un cielo per la verità assai poco primaverile. Terrazza dell’ex ospedale piena di studenti stranieri, banda musicale che intrattiene con incalzanti marcette, in attesa delle fatidiche ore dodici. Il vescovo che, terminata la celebrazione della Cresima, si affretta veloce tra tamburini, trombettieri e popolani in costume, per andare a sventolare il fazzoletto bianco dal balcone del Palazzo dell’Opera e dare così il via alla discesa della raggiera dalla Chiesa di San Francesco fino al Cenacolo posto sul sagrato della remota cattedrale. E poi, lei. (In)discussa protagonista, che scende sulla piazza nel suo tubo di plexiglass per essere regalata alla giovane coppia di sposi novelli, che quest’anno portano volto e nome di Donatella Di Mario e Fabio Frizzi (nella foto), marito e moglie dal marzo scorso. Onorati e stupiti al tempo stesso di essere i destinatari del significativo compito, hanno assicurato di prendersi cura dell’animale nell’apposita voliera che l’attende nella loro residenza di Corbara. Regolare svolgimento e garbata soddisfazione da parte degli organizzatori, insomma, per una festa di Pentecoste che si rinnova nel segno della tradizione e di un’identità culturale messa in discussione, ma che ne esce forse più forte e placidamente ancorata alle proprie radici.