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Medioevo, che passione! Il Corpus Domini chiude i lunghi festeggiamenti orvietani

domenica 18 giugno 2006
di Davide Pompei
Nell’anno del Signore 2006, addivenne il dì 18 di giugno, a lo mattino de lo giorno ne la piazza de lo mercato, vedere uscire da lo Palazzo de lo Popolo agghindato con li stendardi della festa li quattro quartieri de la città di Urbe Vetus, ne lo ordine: Corsica, Stella, Serancia et Olmo. Preceduti ne la sera de la vigilia de lo Corpus Domini da la sfilata de le consorti dame e damigelle, da li sbandieratori di Vignanello e da li duellanti di Soriano del Cimino; anticipati da lo suono de li tamburi e de le chiarine, onorevoli messeri, aitanti cavalieri a capo di robuste milizie e saggi reggitori della nobilissima città, sfilarono per le vie cittadine, con orgoglio e fierezza, sotto lo sguardo attento e rapito dell’urbe tutta e del felicissimo contado accorso. Nobili et popolo, gente di lettere e di toga, mercanti et artieri di ogni arte, giudici co lo volto segnato da lo tempo e da la esperienza e perfino qualche virginea donzella invasero pacificamente la Rupe per partecipare a lo tradizionale giubilo de l’antica festa de lo Sacro Lino. Le donne, i cavalier, l’arme e gli amori, le cortesie, l’audaci imprese. L’Umbria rivive tra maggio e giugno la famigerata età di mezzo, veste le sue traballanti torri di stendardi, lustra le armature custodite nei castelli fortificati e sguinzaglia giullari e saltimbanchi nelle sue corti dei miracoli. La trafila dei secoli bui recupera il suo posto d’onore nel cammino dell’umanità, lasciando la sua brava impronta nel quotidiano arrancare dei moderni occidentali, assai lontani da trasognati sospiri e desideri mal sopiti di cortesi dame. Il Medioevo orvietano mostra il lato festoso e solenne, non perpetua la caccia alle streghe, non trasuda l’arretratezza culturale e le discriminazioni di genere degli anni degli untori e dell’inquisizione. Anni trascorsi a suon di bolle papali e cozzare di armi, macellazione del porcello e giorni di penitenza, case di legno e pestilenza, arcieri e balestrieri. Dal terrore per il peccato alla promiscuità forzata, quello del Medioevo è un mondo affascinante, instabile nonostante fosse gerarchizzato tra chi lavorava, chi combatteva e chi pregava e informato da Santa Romana Chiesa. Ordini monastici stratificati, tensioni fra signori e vassalli, astuti mercanti e delitti improvvisi, accese vendette tra opposte fazioni. Un ambiente ostile, in continuo rivolgimento, ma anche semplice, privo di sovrastrutture, concreto. Il medioevo è l’epoca del riconoscimento cromatico, che prima di sfociare nella discriminazione delle razze, veniva affidato agli sbandieratori che in guerra segnalavano, con i colori nell’aria, l’appartenenza ai rispettivi casati. Tutti marciano al ritmo del tamburo in un tam tam primordiale che rappresenta il simbolico tema del battito del cuore, la fisicità che va a tempo con le vibrazioni dello strumento. Età, altezza, corporatura e fisionomia dei personaggi sono alla base del reclutamento dei figuranti e dell’impersonificazione di un particolare ruolo. Il fermento enorme di cui è pregna Orvieto nei giorni del Corpus Domini è la gioia di indossare o vedere sfilare sotto i propri occhi l’orvietanità tramandata e la tradizione rinnovata. Ma anche l’accoglienza riservata a chi pur non essendo del posto, fa parte della città. Dal 1951 di parate ce ne sono state tante, nel tempo tanti sono i volti che si sono avvicendati e molte le innovazioni apportate, ma quella che è cresciuta è l’anima di chi indossa i costumi, calandosi nel ruolo. Prima di richiudere gli armadi e riporre i drappi appesi alla finestra, c’è ancora tempo per ricordare le parole di Fossier che, discorrendo di medioevo, con un filo di rimpianto, parlava di “un mondo dove il buon prodotto importava più del guadagno, il sentirsi fratelli più dell’esser compagni, il bene comune più dell’interesse privato, la rassegnazione più dell’iniziativa, la collettività più del singolo”. Parlava di secoli che, in fondo, non erano poi tanto bui.