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Buoni gli ascolti de ‘La Provinciale’, la fiction con Sabrina Ferilli girata ad Orvieto

martedì 2 maggio 2006
di Davide Pompei
Figli dell’auditel, la battaglia orvietana è vinta! Le levatacce e le fatiche di chi ha lavorato sul e dietro al set, le ore di trucco e parrucco, le prove costumi che hanno ringiovanito e invecchiato le comparse orvietane di cinquant’anni sono state premiate. Domenica 30 aprile cinque milioni e 614 mila televisori erano accesi su Rai1 per vedere “La Provinciale”, la fiction girata tra ottobre e novembre nei dintorni di Roma, Orvieto, Montalcino e Siena, e lunedì 1 maggio i numeri sono arrivati addirittura a sette milioni e 555 mila. Un discreto successo, considerata la concorrenza e tenuto anche conto che l’ambizioso sceneggiato è andato in onda in date non propriamente felici, coincidendo con giornate in cui di solito chi può abbandona la tv per il tradizionale ponte fuori porta, per di più prossimi alla fine del periodo di garanzia che scade i primi di giugno. Sembra che i tempi di messa in onda siano stati bruscamente affrettati, la promozione sospesa e il doppiaggio eseguito al volo. Sospesa a causa delle trasmissioni elettorali, la fiction non avrebbe insomma goduto della migliore visibilità e dall’autunno sarebbe precocemente balzata in primavera per essere vista da appassionati del genere, curiosi occasionali, diretti interessati, orvietani e non. Eppure questo costoso progetto nato dalla coproduzione Rai Fiction e Rizzoli, che ha continuato la serie delle grandi opere del Novecento italiano, complessivamente è sembrato un buon lavoro. Orchestrato da Pasquale Pozzesserre, il film tv si è (ben) mosso in bilico tra il romanzo sentimentale e l’indagine poliziesca. Sospese ed eteree, le musiche del premio oscar Ennio Morricone hanno suggellato tramonti tufacei che sembrano non vogliano cedere alla notte e albe vetrificate pencolanti sui vicoletti nostrani. Esulando un attimo dalla storia, si è fatta insomma anche un’ottima pubblicità alla rupe, che avvolta dalle luci di Fabio Cianchetti, si è riscoperta televisivamente adatta a fare da sfondo alla vicenda. Diretta con eleganza, “La Provinciale” più che la favola di una moderna Bovary, è stata definita “un rebus dell’animo e della carne”, la storia dell’Italia dei misteri, del potere e dei delitti come il celebre caso Montesi rivisitato per esigenze di fiction da Laura Toscano e Franco Marotta. Una Ferilli scontatamente brava, che strizzata nelle sue procaci sottane o mortificata nei suoi miseri cappottini neri, è sempre più icona dell’Italietta che fu, Decaro sorprendentemente intenso e (in)dolente, superba la Gastoni, troppo dimesso Dionisi per la sua faccia da cinema occultata dagli occhiali da professorino imbranato e opaco. Rispetto alla novella che Alberto Moravia scrisse nel ’37, nella quale già emergeva la complessità contraddittoria della protagonista Gemma, riservata e vistosa, in questa versione è apparso un nuovo personaggio, il commissario Rinaldi che ha portato avanti un’indagine psicologica dei lati più reconditi dei personaggi. Un espediente narrativo che ha aggiunto un risvolto giallo alla storia, con cui rovistare nei segreti di una città solo in apparenza quieta e sonnolenta. Tutto il film è stato montato su una serie di flash back, che hanno fatto dell’intenso finale una rivelazione, un autentico colpo di scena. Alle descrizioni dei rapporti di causa ed effetto tra circostanze ed elementi di una complessa società, celebrata anche nei diversi sceneggiati e nel film di Mario Soldati con la Lollobrigida e Ferzetti del ’53, Pozzessere ha aggiunto atmosfere inedite, colori nuovi e musiche sospese. Ne è emersa una cittadina appena uscita da una guerra devastante, piccola e falsamente rassicurante, chiusa nel suo ipocrita perbenismo, quello di un Paese che comincia a rapportarsi con la democrazia, lottando con sacche reazionarie che ne condizionano la modernizzazione. Una provincia morbosa nei suoi costumi e nel suo senso del pudore, dove si è protetti ma anche vittime di curiosità e pettegolezzi, dove “cade tanta neve” e si è in corsa verso il nulla, alla ricerca di una dolce vita che non c’è.