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Giù le mani dal Tevertino. Per un'altra politica sul Bacino del Paglia

giovedì 17 ottobre 2013
di Associazione Il Ginepro
Giù le mani dal Tevertino. Per un'altra politica sul Bacino del Paglia

In questi giorni si stanno eseguendo dei lavori di consolidamento spondale in località Barca Vecchia, a monte dell'abitato di Allerona Scalo, uno dei tratti in cui il Fiume Paglia, con le recenti alluvioni, ha intaccato i propri antichi sedimenti, sui quali, improvvidamente, furono realizzati, dal dopo guerra in poi, non solo dei vigneti ma addirittura una casa. E' la parte del fiume che si trova all'inizio della bassa valle, in cui si possono trovare ancora degli elementi di naturalità in continuità con la parte a monte, la media valle del Paglia, quella che per il suo valore ambientale è stata riconosciuta anche come SIC, sito di importanza comunitaria, oltreché come area protetta. Basterà ricordare che già in questo tratto si cominciano a trovare ampie garighe con l'importante presenza della rara ed endemica Santolina Etrusca, una pianta arbustiva protetta che cresce nei greti di alcuni fiumi e torrenti dell'anti-appennino toscano, specialmente nel Paglia e nell'Orcia.

La zona, denominata espressamente Fonti di Tiberio, è interessata anche da vari fenomeni termali, con sorgenti fredde salso-bromo-iodiche (uniche in tutta l'Umbria) e sorgenti calde alla temperatura di 46°. Non è un caso quindi, data l'importanza del sito, che qui si possono rinvenire facilmente tracce e resti, già censiti, di epoca antica: tagli ed incavi sulle pietre e sui costoni rocciosi di travertino giacenti sulla sponda di destra; un ampio blocco di opus caementicium, situato nel bel mezzo del letto di magra che segna il passaggio in questo punto dell'antica Via Traiana Nova, variante della Via Cassia Antica tra Bolsena e Chiusi risalente al II sec. d.c.. Analoghe ed ancor più importanti presenze del passato si trovano nell'immediato circondario: il borgo di Meana, con la rocca risalente al periodo longobardo e di cui è ancora presente il Molino e le sue importanti opere di presa realizzate proprio sul fiume; la località di Coriglia, dove si stanno eseguendo dei proficui scavi archeologici con il rinvenimento di un insediamento di epoca etrusco-romana.

Tutti questi validi ed eccezionali elementi, non sono certamente oscuri alla popolazione locale, che ha a cuore questa parte di territorio, la vive intensamente, la sente parte del proprio patrimonio e la vorrebbe semmai conservare e migliorare nel tempo, soprattutto per il suo valore ambientale, naturale, storico e culturale. Le operazioni di estrazione, asportazione e rimaneggiamento dei sedimenti fluviali che osserviamo in questi giorni, tuttavia, sembrano andare in altra direzione, ossia nella stessa direzione vista e rivista ormai da troppo tempo e che tiene di poco conto anche quanto riportato dall'ormai famigerato studio dell'Università di Perugia sulla dinamica fluviale del Paglia, di recente approvato dalla stessa Giunta Provinciale di Terni.

Lo studio, giustamente, mette in luce e conferma quello che noi ed altri soggetti, ribadiamo ormai da tempo, ossia che non bisogna alterare ulteriormente l'equilibrio del fiume con l'estrazione di materiale sedimentario. Il Paglia, infatti, come recita l'autorevole documento, è in forte deficit sedimentario ed ha un eccessiva fase erosiva, condizione che si può tranquillamente comprendere osservando l'eccezionale approfondimento dell'alveo, che in molti punti ha già intaccato la roccia madre argillosa sottostante e che sta sempre più caratterizzando il corso fluviale come una sorta di canyon mono-canale, in cui la sempre maggiore capacità di concentrazione delle acque non può far altro che incrementare l'erosione spondale laterale.

Le cause di questo problema, che noi attribuiamo alla più che decennale, abusiva o autorizzata, escavazione in alveo, praticata in modo intensivo, con poca interruzione, dagli anni 80 in poi, purtroppo non sono accennate nel già citato documento, ma viene comunque marcato, quasi fosse un monito, il principio preventivo di evitare altre estrazioni in alveo. Lo studio in realtà lascia, in modo anche paradossale, la possibilità di spostare gli accumuli all'interno dell'alveo stesso ma sotto l'attento esame e controllo di figure tecnico-scientifico esperte, nonché di rimuovere alcuni blocchi che ostruiscono la cosiddetta officiosità idraulica. Tra questi viene espressamente citato l'immenso blocco di travertino, in località Fonti di Tiberio (o Tevertino), che localmente viene chiamato "Sassone o Sasso Pinzo del Tevertino", una particolarità geologica presente nell'attuale giacitura, da diversi millenni, contando che vi sono sopra evidenti tracce archeologiche di origine etrusco/romana. Il Sassone, stando a quanto riportato nello studio, ostruirebbe il passaggio della corrente nel canale interno che taglia il meandro del fiume e in conseguenza rafforzerebbe il canale principale che percorre tutta la curva del meandro e che mette a rischio i sopra citati vigneti e l'edificio rurale.

Fatte queste premesse vorremmo chiarire alcune questioni ed aspetti che consideriamo problematici e assai discutibili.
In primo luogo, il cosiddetto Sassone e la zona del Tevertino (Fonti di Tiberio), non si dovrebbero minimamente toccare, non solo per il loro particolare valore e la loro bellezza paesaggistica, ma anche e soprattutto perché sono un eccezionale condensato di natura, di storia, di memoria e di emozioni, che tutti gli abitanti del luogo e non solo, hanno vissuto e sedimentato nel proprio patrimonio culturale e collettivo. Crediamo che basti citare l'art. 9 della Costituzione sulla tutela del paesaggio e del patrimonio storico della Nazione, per ritenere che ogni modifica e trasformazione di questo sito, possa considerarsi di fatto un atto, al pari di tanti altri di questo scellerato Paese, se non del tutto illecito, sicuramente incoerente e inaccettabile.

Proseguiamo col fatto, non irrilevante, che chiunque si avvicini all'area degli interventi, potrà notare, come non sia presente alcun cartello affisso dei lavori, nessuna indicazione sul titolare del progetto, sulla ditta che ha la concessione, sugli investimenti, i costi e i tempi degli interventi. Nulla! Qualcosa si trova sul sito della Provincia di Terni, nella sezione appalti, ma sono documenti risalenti ad Agosto 2012, ossia prima dell'alluvione del novembre scorso e ci domandiamo a tal proposito: sono intervenute modifiche nel frattempo? Se si, quali? Perchè non se dà notizia ed adeguata ed opportuna pubblicità? Dove è la partecipazione e il coinvolgimento dei cittadini e delle comunità locali? Il progetto in questione non prevedeva interventi in località Fonti di Tiberio (Tevertino), ma in questo momento, si stanno spostando ingenti quantità di sedimenti da questo punto verso la sponda più a valle in Loc. Barca Vecchia, sedimenti che peraltro sono principalmente sabbie e piccoli ciottoli che qualsiasi piena è in grado di asportare con relativa facilità. Chi ha autorizzato questi scavi e dove sono gli esperti che dovrebbero presenziare a questo tipo di interventi? Eppoi, non sarebbe meglio trasportare su quella sponda materiali esterni all'alveo e meno facilmente erodibili? La piena recente dell'8 Ottobre ha già rimosso diversi sedimenti già movimentati; ammesso che questi lavori siano necessari, non bisognava fare questi interventi prima del ritorno delle piogge e delle piene? Non dimentichiamo, infine, che proprio nel punto in cui si sta operando, è presente il blocco di opus caementicium, che come già osservato è riconducibile all'antico ponte della Via Traiana Nova; non si vorrà per caso cancellare o seppellire questo raro ed importante reperto?

Gli interventi sono stati estesi anche al canale morto del meandro, quello che sarebbe ostruito dal nostro caro "Sassone" e si sta cercando di riesumare questa via tramite l'asportazione di diverse centinaia di metri cubi di ghiaia e sassi, che vengono trasportati rapidamente agli impianti di lavaggio inerti in loc. Querceto, presso il ponte del Paglia sulla provinciale per Allerona, dove fra l'altro si stanno eseguendo altre escavazioni. Ma lo studio dell'Università di Perugia, già discusso in premessa, non poneva come prerogativa il divieto assoluto di estrarre ulteriori materiali dal letto del fiume onde evitare un'ulteriore deficit sedimentario e tutte le conseguenze negative che ne derivano? E così facendo, inoltre, non si mette a rischio nel breve periodo, in caso di piene eccezionali, la parte immediatamente a valle del meandro che avrebbe come conseguenza l'esondazione del fiume sulla direttrice che porta direttamente all'abitato di Allerona Scalo? E in ogni caso, troviamo veramente difficile credere che la riapertura di questo canale sia in grado, nel medio-lungo periodo, di laminare sensibilmente le piene, proprio perché il lato del fiume che occupa è quello dove si trova il maggior punto di scarico e di sedimentazione e come tale è destinato nuovamente a riempirsi!

Pensiamo d'altro canto che i rischi per la reiterata estrazione in alveo, salve alcune eccezioni, valgano anche per i residui vegetali, anch'essi sedimenti responsabili dell'alterazione dell'equilibrio erosione-sedimentazione del fiume. Eppure ci sono ammassi di tronchi raccolti ovunque ed una macchina cippatrice che li sta triturando come già avvenuto presso il Ponte dell'Adunata ad Orvieto!

Non ci sembrano queste le premesse buone e i nostri dubbi e i timori si stanno sommando. Ma soprattutto rimane aperto il quesito più grande: purtroppo l'equilibrio del fiume è compromesso almeno su tutta la valle inferiore e superiore del Paglia, da Ponte a Rigo ad Acquapendente, da Allerona fino ad Orvieto Scalo e questo è il dato di fatto; dato che non si deve più scavare il fiume, dato che i soldi per la manutenzione continua delle sponde più esposte all'erosione sono pochi o non ci sono, dato il permanere del rischio esondazione nonostante tutti gli interventi preventivi, data la necessità di preservare molti siti per la loro importanza storica-culturale-ambientale, non sarebbe meglio attuare una politica più integrale, di distensione e ri-naturalizzazione del fiume, basata su praticabili obiettivi? Ne accenniamo solo alcuni:
- dare maggiore spazio laterale al fiume nei punti di maggiore rischio esondazione, permettendo la formazione di un sistema più ampio di canali in grado di laminare più facilmente le piene. Tale azione può essere realizzata, laddove possibile, anche attraverso la - ri-demanializzazione del territorio occupato dalle acque, con l'esproprio dei terreni limitrofi e con lo spostamento in altri siti più sicuri, delle varie costruzioni, dei manufatti e degli altri insediamenti esistenti (come già avvenuto in passato per il Molino del Paglia che fu trasferito nel centro abitato di Allerona Scalo); in questo senso i soldi per i risarcimenti dei danni dell'alluvione potrebbero essere utilizzati per spostare altrove gli insediamenti produttivi agricoli e non;
- rinforzare solo le sponde a rischio, utilizzando materiali non recuperati nel letto del fiume e seguendo tecniche di ingegneria naturalistica;
- realizzare delle barriere passive che siano ad una sufficiente distanza laterale dal letto del fiume e che siano parallele rispetto all'attuale corso, in modo da poter contenere solo gli eventuali picchi di piena eccezionali, capaci si spingersi in porzioni più ampie di territorio e maggiormente antropizzate;
- dare maggiore struttura e consolidamento ai terreni limitrofi al fiume, rigenerando e ricreando la fascia boschiva planiziale lungo il corso del fiume, attraverso il reimpianto delle essenze più forti, come le querce, a partire dalle poche aree relitte rimaste;
lavorare e fare una programmazione su tutto il bacino fluviale, che non significa sulla sola asta fluviale del Paglia, dall'Amiata al Tevere, ma anche sul territorio della rete idrografica. Occorrerà mettere in luce le varie problematiche esistenti con un approccio inter-istituzionale, Regioni, Province, Comuni, Consorzi, Università e coinvolgendo le Comunità locali con provati ed efficaci metodi partecipativi.

Queste condizioni, che possono essere integrate da molte altre, tengono conto anche della normativa nazionale ed europea, di cui non dovremmo dimenticarci, in particolare, della Direttiva Quadro sulle acque (2000/60/CE), che impone una gestione integrata dei corsi d'acqua in considerazione del loro stato ecologico, come insieme delle loro qualità chimico-fisiche, biologiche e idromorfologiche. Vogliamo cominciare questo lavoro mettendo intorno al tavolo le varie competenze necessarie e con un approccio integrale o vogliamo proseguire a minimizzare il fiume come fosse un mero conduttore idraulico?