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Cava di Benano: il TAR dell'Umbria dà ragione al Comune di Orvieto. Una sentenza che fa storia

martedì 9 febbraio 2010

Il rischio di compromettere le riserve di acqua potabile giustifica il rifiuto del Comune di Orvieto ad autorizzare la cava di basalto di Benano. Lo ha stabilito il TAR dell'Umbria con una esemplare sentenza (n° 827 del 29/12/2009) dando ragione al Comune di Orvieto che, ai tempi del Sindaco Mocio, aveva rifiutato alla SECE dell'imprenditore estrattivo Ademaro Fiaschi, attraverso una coraggiosa variante al PRG, l'apertura di una nuova cava sull'Altopiano dell'Alfina.

"Lo sfruttamento di un giacimento minerario o di una cava - si legge tra l'altro nella sentenza - non è oggetto di un diritto soggettivo del proprietario del suolo e non è accostabile, da questo punto di vista, allo sfruttamento agricolo del terreno. A differenza del secondo, infatti, l'attività estrattiva produce trasformazioni rilevanti ed irreversibili, con effetti pregiudizievoli per l'ambiente non interamente stimabili in precedenza. Attribuire ad una determinata area la qualificazione estrattiva è frutto dunque di valutazioni ampiamente discrezionali e l'autorità competente può negare legittimamente tale qualificazione quand'anche sia dimostrato in modo inoppugnabile - e non è questo il caso - che sia esclusa ogni prospettiva di rischio ambientale. In altre parole, l'escavabilità non è la regola e il suo diniego non è l'eccezione che sia giustificata solo in quanto siano positivamente dimostrati rilevanti effetti pregiudizievoli per l'ambiente".

Nella sentenza si evince, come filo guida delle motivazioni che l'anno determinata, l'esigenza del "principio di precauzione" nel rilasciare autorizzazioni alle escavazioni in aree che possano essere compromesse dall'esercizio dell'attività di cava. In buona sostanza non bisogna che venga assolutamente dimostrato il rischio di danno ambientale per impedire l'apertura di una cava (o il suo ampliamento), deve vigere comunque il principio di precauzione al fine di non commettere errori irreparabili quando ve ne sia il rischio.

"Nel merito" recita la sentenza "la variante (del PRG) è motivata con riferimento al rischio di infiltrazioni inquinanti a danno delle sorgenti di Sugano. Tale rischio è stato desunto "dalle conclusioni di un'apposita indagine idrogeologica (professori Capelli e Mazza) acquisita dal Comune che ribadisce l'importanza strategica delle falde acquifere dell'altopiano dell'Alfina e delle sorgenti di Sugano, donde la necessità di conservarle integre e di preservarle da ogni rischio di inquinamento". Infatti - si legge ancora - "l'andamento sotterraneo delle falde acquifere ricostruito minuziosamente dimostra la correlazione fra l'area estrattiva e le sorgenti di Sugano... per cui supposta l'infiltrazione di elementi inquinanti nell'area interessata dalle future cave (Benano) ne risulteranno inquinate, dopo un tempo più o meno lungo, anche le sorgenti di Sugano. Ciò è dovuto "alla modificazione permanente dello stato dei luoghi, consistente nella eliminazione di alcuni strati geologici - in particolare, quello di basalto, dello spessore di 40 m, oggetto dell'escavazione - e la maggiore permeabilità di quelli sottostanti, che aumenterà significativamente la vulnerabilità delle falde. Ed è intuitivo che un simile aggravamento di vulnerabilità è un effetto permanente ed irreversibile dell'attività estrattiva, ancorché quest'ultima si esaurisca nell'arco di pochi anni".

"In altre parole" conclude la sentenza "quello evidenziato dalla relazione Capelli-Mazza non è il rischio d'inquinamento "durante" , ma quello "dopo" la coltivazione della cava. E da questo punto di vista, è irrilevante il fatto che l'attività estrattiva sia di per sé poco o nulla inquinante".

Questa sentenza è un "macigno" nei confronti della attività escavativa - fa notare con soddisfazione il CISA (Comitato Interregionale per la Salvaguardia dell'Alfina) - che pone finalmente, almeno nella parte umbra del comprensorio dell'Alfina, un punto fermo per la tutela della risorsa idropotabile dell'Altopiano. In sostanza la sentenza non fa che sancire una realtà ormai vissuta quotidianamente dai cittadini di tutto l'Orvietano che sulla propria pelle, ormai da anni, stanno provando l'incertezza di un progressivo scadimento qualitativo, ma anche quantitativo, dell'acqua che giunge nelle loro case. E' fin troppo evidente che la risorsa idropotabile contenuta nell'Altopiano dell'Alfina è legata ad un equilibrio geologico delicatissimo su cui il buonsenso dovrebbe indurre tutti gli amministratori responsabili a porre seri vincoli di tutela. "Questo è nei fatti - fa notare ancora il CISA - oggi sanciti anche dal legislatore".

La versione integrale della sentenza