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Le cave si stanno mangiando il bel Paese. Un contributo alla Settimana della Cultura

giovedì 23 aprile 2009
di Roberto Minervini (Vicepresidente APE- Orvieto)

Se qualcuno pensasse che si possa fare a meno delle cave è sicuramente fuori di testa. Dove prenderemmo le migliaia...scusate... i milioni di tonnellate di materiali per costruire manufatti in cemento, massicciate, ferrovie, strade, ponti e tutto quello che fa moderno e quindi bello un paese.
Non solo si è fuori di testa, ma anche fuori d'Italia dato che la Svizzera è l'unico paese al mondo (credo?) che ha messo al bando le cave per tutelare i suoi paesaggi. Ma come fa la Svizzera ad essere un paese moderno? Semplice: compra quello che le serve in Italia e così (che stupida la Svizzera!) fa arricchire i cavatori italiani. Noi Italiani, che invece siamo molto furbi, è vero sì che distruggiamo angoli di paesaggio spesso bellissimi, ma creiamo occupazione e ricchezza, è vero che dal primo posto al mondo come paese per frequentazioni turistiche siamo scesi in pochi anni al quinto (perdendo occupazione e ricchezza), ma abbiamo agglomerati urbani immensi e sempre in crescita e possiamo vantare che oltre l'85% degli Italiani è proprietario di una casa (chissà gli Svizzeri come fanno? Probabilmente non hanno problemi ad affittarne una quando serve).
Con tanto costruire e tanta Alta Velocità ferroviaria c'è bisogno di molte cave ed infatti, per fortuna, ne siamo circondati, ce ne sono ovunque. Nel nostro Paese sono una componente del paesaggio, ne fanno parte, neanche lo deturpano più. L'Italiano suddito e di poca memoria storica ed artistica non le nota neanche, le guarda e non le vede perché ormai sono ovunque, "se ci sono vuol dire che servono" pensa quando si accorge che esistono.

L'ultima volta che ero in treno da Orvieto a Roma dopo Orte un bambino ha detto al padre:"papà guarda quanti laghetti!". "Non sono laghetti sono cave" gli ha risposto pazientemente il padre, presagendo che non era finita lì. "Ma che sono le cave?" chiese insistente il bambino che le cave - laghetto ancora ne vedeva. "Sono dei buchi che si fanno per prendere il materiale per costruire le case". "Ma ci sono i pesci?" chiese ancora il bambino ormai affascinato dal lungo susseguirsi di cave -laghetto fin quasi alle porte di Roma.
- Che bella occasione perduta!- Pensai. Quel padre avrebbe potuto rispondere, a quella gran voglia di apprendere di pochi anni, che quei brutti "laghetti" erano solo l'infelice risultato di una violenza sul territorio, operata senza scrupoli e senza cautele (ci sarebbe voluto poco a fare di quelle brutte buche fangose dei veri laghetti, quasi naturali ed anche belli a vedersi, ma nessuno lo ha imposto). E così per tante altre cose e, nell'indifferenza generale, giorno dopo giorno, bruttura dopo bruttura, stiamo distruggendo il Bel Paese. Abbiamo perso il senso dell'armonia, del paesaggio e dell'architettura, così innate nei nostri predecessori, e ci stiamo abituando sempre più a vivere nel brutto e a farci vivere i nostri figli. Proprio nel nostro Paese che era visitato da pensatori ed artisti di tutto il mondo, visitatori che non potevano ritenere completato, concluso il loro percorso culturale se non avessero effettuato un soggiorno in Italia perché ritenuta uno straordinario compendio di cultura, arte e paesaggio.

Bene fa quindi il Governo a continuare a promuovere la manifestazione intitolata "La settimana della Cultura", giunta alla undicesima edizione (quest'anno dal 18 al 26 Aprile) e sostenuta dal Ministero dei Beni Culturali su tutto il territorio nazionale. Bene fa il Ministro Bondi a dire che "la ricchezza del nostro patrimonio culturale e la grande forza vitale della cultura italiana son infatti fattori decisivi per la competitività e la crescita del nostro Paese". Bene fa anche Francesco Coppola, Direttore Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici dell'Umbria, a sottolineare che la manifestazione è" anche e soprattutto... un invito alla corresponsabilità di un patrimonio che è di tutti nel senso che è di ciascuno e non certo nel senso di arrivare al punto che nessuno lo senta come proprio. Un patrimonio che si esprime, nel suo complesso, anche come paesaggio. L'invito è dunque alla consapevolezza diffusa del dovere di salvaguardare una eredità d'insieme che è al tempo stesso una promessa per il futuro".

Un patrimonio, quello culturale, che nel PIL mondiale occupa il 23,8%. Ben oltre, per intenderci, del valore dell'intera industria automobilistica mondiale. Cosa aspettiamo a fare quindi del nostro patrimonio artistico, archeologico, monumentale, ambientale e paesaggistico il nostro principale business da mettere al riparo da localismi e scelte sconsiderate sulle destinazioni del territorio?

Oggi siamo invece in mano ai costruttori-distruttori, una forsennata smania costruttiva ci sta pervadendo ormai da decenni a causa di un demenziale senso del progresso e dello sviluppo.
Costruiamo tantissimo, realizziamo tantissimo, aeroporti, strade, complessi urbani, ferrovie, porti e poi di tutto questo solo poco funziona bene o funziona a dovere e non mancano i casi di ciclopiche strutture completamente abbandonate. E' una febbre molto simile a quella di certi paesi in via di sviluppo dove la corruzione è il motore del fare per lucrarci sopra, il prodotto finito poi interessa poco.
Di chi è la colpa di tutto questo? Ma di chi vogliamo che sia? E' nostra naturalmente. Di noi Italiani sudditi e mai cittadini. Siamo stati capaci piano piano di far crescere una casta politica disinteressata e corrotta che ha utilizzato il voto solo come necessario supporto per interessi personali e corporativi.

Avendo rinunciato, evidentemente prematuramente, ad un re ed ad una corte abbiamo lentamente creato una oligarchica nobiltà politica che ci ha fregati per anni e, credo, oggi con modeste differenze di qualità morale fra gli schieramenti. Se lo scenario è questo, ed io credo che lo sia, non resta che rimboccarci le maniche, imbracciare i forconi, così come si conviene a gente di campagna, e cominciare a menar le mani (metaforicamente naturalmente) per difendere almeno quel pezzo di mondo in cui abbiamo deciso di vivere. Basta con le ambiguità, con il malinteso senso del progresso. Basta con i comitati di affari alle spalle della gente, basta con l'uso dell'occupazione come pretesto per perpetrare gli abusi di ogni genere compiuti spesso nel ristretto ambito di piccoli consigli comunali, cercando poi di far sapere in giro il meno possibile.
Ci attendono tempi più difficili e già li vedo i paladini dell'occupazione che si sperticano in difesa delle famiglie per metterle al riparo dai tempi cupi anche a costo di sacrificare qualche decina d'ettari di territorio o di paesaggio. Gente furba, ma, come tutti i furbi, miope. Gente che ancora non si è accorta che il mondo è già cambiato, è cominciato l'inizio della fine delle speculazioni edilizie.

Le statistiche già snocciolano i primi catastrofici dati sull'invenduto edilizio, sui fallimenti delle lottizzazioni, sulle crisi delle imprese di costruzione. Quello che doveva fare la politica lo sta facendo per vie naturali il mercato. Il Paese con il più alto tasso pro-capite di manufatti in cemento al mondo ha soffocato se stesso, e nei nostri comuni ci sono ancora sindaci che brigano segretamente con palazzinari d'accatto che ancora non hanno capito che devono affrettarsi a cambiare mestiere.
Non so se per le cave sarà lo stesso, forse si, forse no, se le ferrovie ancora "tireranno", ma non è solo questo il problema: non è possibile che un tipo di economia ne distrugga un'altra. Ci sono decine di agriturismi, di campi coltivati, di ristoranti, di alberghi, di case-pensione, di case da affittare, di case per l'estate e centinaia e centinaia di case per vivere vissute tutti i giorni ed inserite in un contesto in cui il BRUTTO ancora appare poco. Quello che non si capisce è perché centinaia di persone che lavorano e vivono ancora piacevolmente grazie alla scarsezza del BRUTTO debbano essere private del loro lavoro, del loro benessere e della loro qualità delle vita a vantaggio del BRUTTO? Perché degrado paesaggistico, rumore, traffico pesante, incidenti stradali, bombardamenti del sottosuolo, polvere devono compromettere vecchi equilibri, spesso centenari, culture e consuetudini legate al territorio? Perché persone, famiglie, che quei territori hanno sempre abitato e dove hanno tutti i loro averi sotto forma di case e poderi devono vederseli fortemente svalutati dall'arrivo del BRUTTO? Perché gente venuta da fuori e che tanto ha investito e sta investendo nella ristrutturazione di vecchie case, spesso abbandonate da tempo, che sta rivitalizzando vecchie aziende agricole, che sta realizzando agriturismi e che sta apportando anche un contributo di difesa e riscoperta di quei luoghi deve essere sopraffatta dal BRUTTO?

Il BRUTTO non è solo danno economico, paesaggistico e culturale, quando il BRUTTO, come nel caso dell'Altopiano dell'Alfina, nell'alta Tuscia Umbro-Laziale, assume le connotazioni delle cave di basalto al danno materiale, culturale e psicologico a carico degli abitanti di quel luogo, si aggiunge il rischio della perdita di uno dei beni fondamentali per la specie umana: l'acqua.
Grazie alla piovosità di quest'anno stiamo uscendo da un periodo di scarsezza idrica così critico che ha fatto tremare i polsi ai responsabili dell'approvvigionamento e distribuzione idrica dell'Orvietano. Un periodo durato anni che, a detta degli esperti, ha avuto solo un'interruzione nell'anno in corso e che probabilmente ricapiterà presto. Noi del comprensorio Alfino-Orvietano non abbiamo però motivo di preoccuparci. Sotto l'Alfina c'è tanta di quell'acqua che possiamo stare tranquilli, non ci sono rischi di rimanere a secco. Gli studi hanno dimostrato una disponibilità idrica tale "da garantire buone quantità d'acqua anche dopo prolungati periodi di siccità". Quindi con l'acqua stiamo a posto, per correre qualche rischio di dispersione della falda o del suo inquinamento ci vorrebbe che qualcuno si mettesse a scavare profonde buche sull'Alfina fino ad intercettare falde superficiali ("sospese") e profonde, mettendole in collegamento, inquinandole e dirottandole altrove, ma questo non è possibile, nessuno lo permetterebbe, meglio, non sarebbe possibile in un paese normale, ma l'Italia, finché la politica non comincerà a staccarsi da terra, non è un paese normale. Ecco allora che sindaci, ispirati da frenesia da sviluppo, rilasciano autorizzazioni a sondaggi non per due, tre o cinque ettari, di più, dieci, quindici, venti ettari, ancora di più fino a venticinque trenta, cinquanta ettari, quasi a voler essere ben sicuri di sventrare per bene l'Alfina, dissanguarla, ed estrarne le solide viscere.

Non viviamo in un paese normale, lo vediamo tutti i giorni, e ci attendono giorni veramente difficili, duri, ed è triste avere la consapevolezza di non essere pronti ad affrontarli. E' triste sapere che non puoi concentrarti sul tuo lavoro perché quello che stai facendo ti può venire compromesso da scelte di sviluppo grossolane ed irrecuperabili. E' triste avere la consapevolezza che il lavoro, anche di secoli, e le economie di tantissime attività potrebbero essere messe a rischio per scelte imprenditoriali che fagociterebbero tutte le altre e sarebbe per sempre, senza possibilità di recupero.

Non resta quindi che rimboccarci le maniche, per assicurare la trasmissione del migliore mondo alle generazioni future.