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Concluso il giro dell'Umbria a piedi: tre escursionisti raccontano la loro (suggestiva) esperienza

lunedì 21 maggio 2007
Un groviglio di mulattiere, sentieri, carrarecce trancia l’Umbria che non ne vuol sapere di segnalarle come si deve. Già a metà degli anni Ottanta nella ex Jugoslavia, prima delle sanguinose guerre che ne hanno cambiato i connotati, c’erano percorsi perfettamente delineati e curati nel tempo che evitavano agli appassionati di perderne il filo. Fossimo stati negli Stati Uniti o nel Canada una delle regioni a maggior vocazione naturalistica d’Italia, quale è l’Umbria, sarebbe diventata un enorme parco attraversato da qualche centro abitato. Da noi no. Si cementizzano zone industriali in località dove mai avranno sbocchi sul mercato che manterranno nel tempo un impatto ambientale devastante, senza realizzare che cose da valorizzare sul territorio ci sarebbero in abbondanza, arte e natura per esempio, che vanno nel segno di una caratterizzazione atavica ormai riconosciuta e indiscutibile. I tre uomini partiti a piedi, il 3 maggio, per focalizzare un caleidoscopio della regione hanno terminato la prima tranche del percorso, variato in corsa viste le difficoltà aggiuntive incontrate. Dopo otto giorni di marcia da Orvieto via Montecchio, hanno valicato le vette dei Monti Citernella, Sasso del Pucchio, Melezzole, Croce di Serra (detto Pelato per la riconoscibile vetta rada di vegetazione), quest’ultimo unico segnato veramente bene. Hanno proseguito verso i Monti Martani raggiungendo prima Acquasparta per ascendere verso il paesino diroccato di Scoppio, una autentica perla incastonata a m. 708 di altitudine fra costoni e boschi di querce, popolata da cuculi e poiane. Dopo un’intera giornata trascorsa sotto la pioggia e i tempi di percorrenza notevolmente aumentati, i tre sono dovuti entrare in un rifugio, ancora chiuso, approfittando di uno sportello esterno mancante di una stecca, per riposare qualche ora al coperto su duri tavoli di legno. Un panino a testa e un cornetto diviso per tre la frugale cena. Al mattino un caffè doppio e fichi secchi erano il carburante a disposizione per ripartire. Nel rapidissimo cangiare di luce, con intervalli brevi di nebbie e nubi cariche, sullo sfondo compariva la silhouette del Monte Terminillo e il sole che sfondava la barriera umida. In viaggio verso Cesi cominciava a delinearsi la conca ternana, tutt’altro che brutta, larga, dai contorni poco marcati, con una porta naturale non lontano da Collescipoli dove scorre la superstrada, a distanza discreta e silente. Con gambe sempre più nodose e forti, il Tour è proseguito verso i Prati di Stroncone, ad oltre 900 metri di quota, per raggiungere Piediluco passando per Moggio, uno sconfinamento nel Lazio doveroso, altro centro minuscolo con solo una decina di abitanti rimasti, e la conclusione ad Arrone passando per Villalago, che merita una visita. Per motivi di lavoro il piccolo gruppo ha dovuto frazionare il Giro dell’Umbria a piedi, che riprenderà a fine estate. Mario Monachini, Assistente Capo della Polizia Penitenziaria, ex fondista, amante di imprese estreme, medita un viaggio trekkistico in Autralia. Marco Fringuello, Capo Squadra dei Vigili del Fuoco, ex calciatore, pensa a un tour fra rifugi d’alta montagna. Giuseppe Baiocco, psicoterapeuta, molto ex, si limita a prendere appunti, che potrebbero diventare qualcosa di più. Tutti e tre concordano con Paul Morand per il quale il viaggio moderno è “un riflesso di difesa dell’individuo. Un gesto antisociale”. O più semplicemente con Paul Valéry: “Dov’è questo termine del mondo? Vorrei ben anch’io fare un viaggio che mi assicurasse della mia esistenza”. Nell'immagine una veduta panoramica di Stroncone