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L'emergenza va gestita, non cavalcata. Dal rapporto del prof. Adriano Mantovani 'Influenza aviaria e principio di precauzione'

domenica 5 marzo 2006
Riceviamo da Gianni Cardinali, direttore dell'oasi naturalistica di Alviano, il rapporto del professor Adriano Mantovani del Centro di Collaborazione OMS/FAO per la Sanità Pubblica Veterinaria – Dipartimento di Sanità Alimentare e Animale –Istituto Superiore di Sanità, Roma. Ci sembra interessante pubblicarlo come lucido e competente contributo all'argomento "aviaria", che da qualche mese è all'attenzione delle cronache internazionali e nazionali e che ha provocato, nel nostro Paese, molta ingiustificata psicosi che ha avuto, tra l'altro, risvolti drammatici anche nell'economia relativa al settore avicolo. "La psicosi è tale, afferma Cardinali - che la gran parte delle prenotazioni scolastiche all'oasi di Alviano è stata annullata per paura dei genitori." Cardinali sospira e continua a godersi, nella sua casa del centro storico(nella foto), i suoi piccoli uccelli "cittadini". Di seguito il documento del mprof. Mantovani "Influenza aviaria e principio di precauzione:
PREMESSA L’influenza aviaria, già nota come peste aviaria, è conosciuta da oltre un secolo. Centanni e Savonuzzi ne dimostrarono l’eziologia virale all’inizio del Novecento. Data la scarsità di carne (e le guerre) gli animali ammalati, e a volte quelli morti, venivano spesso mangiati. Non sappiamo se vi sia stato contagio umano, in quanto gli eventuali casi non venivano collegati con la contemporanea infezione aviaria. Negli ultimi anni, numerosi focolai di influenza aviaria si sono verificati in Italia e sono stati bloccati mediante l’applicazione del regolamento di polizia veterinaria. Centinaia di migliaia di volatili sono stati distrutti e in qualche caso si è praticata la vaccinazione. Attualmente (febbraio 2006) l’infezione non è segnalata in volatili domestici italiani. Il virus è stato ricercato in migliaia di uccelli selvatici noti, uccisi da cacciatori o catturati: è stato evidenziato solo in alcuni cigni e in un’anitra. Un laboratorio di riferimento altamente specializzato ed efficiente è stato costituito da tempo presso l’Istituto Zooprofilattico delle Venezie. L’influenza aviaria è endemica in paesi asiatici, dove provoca importanti danni in allevamenti di anitre e polli, incidendo negativamente sull’alimentazione umana e sull’ economia. Dal dicembre 2003 al febbraio 2006 il virus è stato segnalato in volatili di 36 paesi di Africa, Asia, Europa e Medio Oriente. Le persone riscontrate infette sono 173, delle quali 93 morte: si é trattato di persone a contatto con pollai familiari o di lavoranti in mercati di tipo rurale che avevano maneggiato pollame vivo o macellato. Programmi di sviluppo avicolo per l’esportazione sono stati annullati, rovinando economie che puntavano su tale indirizzo (ad esempio Tailandia). Da quando l’influenza aviaria è al centro dell’attenzione mondiale si sono effettuate ricerche per la presenza del virus in varie specie di volatili, in persone sospette di contagio nonché in diversi animali (ad es. felini). Di conseguenza il virus H5N1 è stato evidenziato in volatili e persone e, recentemente, in un gatto delle nevi in Germania. E’ probabile che tale ricerca rivelerà altre presenze. Per mancanza di ricerche precedenti, non sappiamo quale sia la situazione “normale”. Ad esempio, in Italia non sappiamo se il virus sia stato presente in volatili selvatici o altri animali e se abbia provocato casi umani e di quale entità. DANNI Quando l’influenza aviaria è comparsa negli allevamenti italiani è stato attivato, come per tutte le malattie infettive “esotiche” degli animali (ad es. afta epizootica, pesti suine, vaiolo ovino), l’abbattimento dei volatili infetti o sospetti di infezione, il risanamento ambientale ed il blocco delle attività. Con tale costoso procedimento si è eliminata l’infezione. L’influenza aviaria non è però entrata nella lista delle malattie degli animali “eradicate” dal paese (ad es. afta epizootica, rabbia, morva) perché si è sempre supposto che sarebbe prima o poi rientrata tramite uccelli selvatici portatori. Non sappiamo se in passato vi siano stati casi di infezioni in volatili selvatici: i cigni morti in questi giorni sarebbero passati inosservati, e qualcuno probabilmente sarebbe stato mangiato. L’influenza aviaria, pur essendo da tempo assente dagli allevamenti avicoli italiani, sta ugualmente provocando gravi danni. Cercheremo di elencare alcuni dei più rilevanti. a)conferma della fragilità del consumatore, già dimostrata in occasione della “mucca pazza”; b)diminuzione del consumo di prodotti avicoli, che presentano una forte caduta dei prezzi; parte dei prodotti viene esportata in altri paesi (ad es. la Francia); c)in Italia, nel momento presente (febbraio 2006) non si registrano casi di influenza in volatili domestici. Dobbiamo peró registrare delle vittime umane, non provocate dall’infezione, ma dalla psicosi. Intendo riferirmi alla famiglia distrutta a causa della crisi e alle migliaia di lavoratori posti in cassa integrazione o che rischiano di perdere il lavoro. I cento milioni di euro stanziati per interventi di sostegno all’avicoltura non possono certamente compensare il danno complessivo e sono comunque stornati da altre esigenze; d)prima della psicosi dovuta all’influenza aviaria, in Italia era in atto una progressiva valorizzazione dell’allevamento biologico (all’aperto). Si sta ora tornando all’allevamento di tipo intensivo (al chiuso), rigorosamente sigillato. Basta percorrere il tratto Roma-Perugia per costatare come i volatili siano scomparsi dalle aie e dai fiumi, con l’ eccezione di un comune. Si tratta di un regresso che investe il nostro paesaggio, il nostro rapporto con l’ambiente e le nostre abitudini alimentari. A Orvieto è stato recentemente costituito un Centro di Partecipazione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, dedicato soprattutto alla sicurezza alimentare e all’epidemiologia delle zoonosi. Un’attività importante sarà la valorizzazione dei prodotti locali e della linea slow food. Tale attività potrebbe trovare difficoltà a causa della psicosi in atto; e)gli italiani, con poche eccezioni, non sono amanti della natura: gli ornitofili (i bird watchers) sono pochissimi. Era in corso un’azione per avvicinare soprattutto i giovani all’ambiente rurale/silvestre. La psicosi ha prodotto un distacco e, in certi casi, un vero e proprio timore; si sono verificati casi di isterismo, ad es. contro i cigni; f)il fatto che l’influenza aviaria sia diventata la “priorità assoluta” ha fatto passare in secondo piano i programmi di profilassi attualmente in corso, come quelli contro la brucellosi, la tubercolosi e la leucosi bovina (eliminate dall’Umbria ma non dal resto del paese) e contro zoonosi importanti ma trascurate, come l’echinococcosi cistica. Si é creata una situazione di “nazione monoproblema” che porta a trascurare problemi reali di sicurezza alimentare, salute animale e protezione dell’ambiente. PRINCIPIO DI PRECAUZIONE E’ difficile parlare di principio di precauzione in un paese che ha dimostrato ripetutamente di essere in grado di eliminare focolai di influenza aviaria e dove il problema attuale sono le conseguenze della psicosi. Cercherò pertanto di proporre (probabilmente di ripetere, perché credo che tutto sia stato proposto o fatto) alcune azioni che potrebbero essere utili. Si dà per scontata l’applicazione del regolamento di polizia veterinaria che ha permesso di eliminare i precedenti focolai di influenza aviaria e di mantenere indenne il paese. Nel momento in cui è scoppiata la psicosi era in atto un’azione volta soprattutto al benessere animale e alla salvaguardia dell’ambiente, che tendeva a limitare le forti concentrazioni di volatili ed a favorire gli allevamenti all’aperto. Si tendeva anche a favorire l’agriturismo e la cucina tipica locale. L’attuale tendenza è ora verso un’ulteriore concentrazione degli allevamenti, con danni per l’ambiente ed il benessere animale, allontanamento dei cittadini dalla natura e diminuzione dei posti di lavoro. Vengono inoltre sovraccaricate le zone con allevamenti intensivi e si rinuncia alla biodiversità salvaguardata dagli allevamenti biologici. Un’azione a lungo termine dovrà tener conto di questi fattori, evitando gravi danni che investano ulteriormente la cultura, l’ambiente, l’economia, la sanità pubblica ed il benessere animale. L’Italia e l’Umbria sono zone di passaggio e di stazionamento di uccelli migratori, tra cui specie ricettive ai virus influenzali. Il loro passaggio e la presenza non sono sufficientemente noti e monitorati. Ad esempio, nell’atlante ornitologico edito dalla Regione Umbria nel 1997 (autori M. Magrini e C. Gambaro) non risulta il cigno, che da qualche anno è presente e nidifica. Bisogna passare da una fase di ornitofilia ad una di ornitologia (evitando ornitomania e ornitofobia). E degli uccelli bisogna conoscere la presenza ed i cambiamenti stagionali, nonché indagare le cause di eventuali malattie. A tal fine bisogna valorizzare strutture e competenze valide, come ad es. quella dell’oasi del WWF di Alviano. La psicosi avrebbe avuto minori dimensioni se il pubblico avesse avuto una sufficiente conoscenza del proprio ambiente rurale e selvatico. La fragilità del pubblico é una conseguenza della disinformazione. E’ importante informare utilizzando le strutture esistenti sul territorio (di nuovo l’esempio dell’oasi di Alviano) che vanno potenziate, finalizzate e valorizzate. Va inoltre perfezionato l’aggiornamento degli insegnanti, dei sanitari (medici, veterinari ed altri) e dei giornalisti. Infatti una sufficiente conoscenza dei metodi di allevamento, dei processi di produzione e distribuzione (carni e uova), dell’ambiente rurale e silvestre, nonché del sistema di sorveglianza sanitaria, aiuterebbe a capire le possibilità di trasmissione e controllo. Altro argomento che necessita di essere meglio conosciuto é l’organizzazione dei servizi veterinari (ASL e Istituti Zooprofilattici) che vantano una buona organizzazione e in Umbria hanno eliminato importanti epidemie del bestiame, come l’afta epizootica, la peste suina, la brucellosi e altre. Una maggiore visibilità di tali servizi sarebbe fondamentale per questa ed altre necessità. Il presente stato di allarme ha concentrato sull’influenza aviaria molte risorse e si sono trascurati altri problemi, realmente presenti nel campo della sanità animale, della sicurezza alimentare, del benessere animale e della protezione dell’ambiente. E’ necessario non trascurare i piani di lotta contro le malattie degli animali (brucellosi, tubercolosi bovina, ecc.), i controlli della filiera alimentare ed inserire nei programmi di formazione veterinaria anche infezioni eliminate dal paese ma che potrebbero rientrare (ad es. afta epizootica, peste suina e rabbia), nonché infezioni emergenti (ad es. febbre della Valle del Rift). Come si è detto, l’influenza aviaria sta avendo pesanti ripercussioni sul rapporto persone/animali, sull’ambiente e sull’economia. I servizi veterinari, in collaborazione con le associazioni ambientaliste e zoofile, dovrebbero cercare di riequilibrare la situazione, attuando tecniche di controllo che preservino l’ambiente rurale e silvestre, favorendo la biodiversità. Dovrebbero inoltre collaborare con le associazioni di categoria per la salvaguardia dei consumi (del mercato) e dell’alimentazione. Un problema importante é costituito dal fatto che gli organi di stampa sembrano interessati più allo scoop ed al sensazionalismo che non a divulgare notizie obiettive. I giornalisti informati (non dico specializzati) si sono mostrati rari. Ai pochi articoli e notiziari informativi e propositivi ha fatto riscontro una massa di informazioni allarmistiche e distruttive. Sta emergendo la necessità di creare canali di informazione e formazione per i giornalisti. Probabilmente anche la precarietà di cui soffre il mondo del giornalismo ha giocato il suo ruolo. Altro settore che soffre le conseguenze della precarietà é la ricerca. Tanto gli istituti quanto i ricercatori sono assillati dalla necessità di finanziamenti e di preservare il posto di lavoro e quindi condizionati da tale necessità. Solo il superamento delle precarietà potrà consentire che i problemi siano affrontati con le dovute sicurezza e tranquillità. Anche in questo settore si nota la scarsa audience di chi fornisce informazioni esatte e tranquillizzanti. Altro problema é l’emergere di “specialisti” non sempre competenti, più interessati alla visibilità e al sensazionalismo che a fornire informazioni corrette. Le recenti esperienze (non solo influenza aviaria, ma anche BSE, sicurezza alimentare, benessere animale ed altre) hanno confermato che i problemi sanitari fanno parte dei problemi politici e che non è possibile alcuna soluzione settoriale (solo politica o solo sanitaria). La combinazione di buone pratiche politiche e buone pratiche sanitarie rientra nel principio di prevenzione. L’emergenza va gestita, e non cavalcata. L’influenza aviaria, cosí come si è manifestata, ha dimostrato di essere una “zoonosi dei poveri”. Sono infatti i poveri che hanno bisogno di convivere (ed eventualmente nutrirsi) con volatili malati. Il fatto di mangiare animali morti costituisce un indicatore di povertà o di bisogno e/o di cattiva educazione sanitaria. Sono sempre i poveri coloro che temono drastiche misure di controllo. Della precauzione fanno perciò parte l’assistenza veterinaria gratuita (non solo censimento e controllo sanitario) degli allevamenti dei poveri, ma anche risarcimenti adeguati e rapidi in caso di abbattimento coatto degli animali. E’ probabile che la ricerca confermi la presenza abituale (endemica) del virus nei volatili selvatici italiani, con occasionali infezioni degli allevamenti. Infatti, è molto probabile che, se le ricerche verranno continuate, queste metteranno ancora in evidenza la presenza del virus. Sarà pertanto necessario, nel lungo periodo, mettere a punto una strategia di coesistenza tra la popolazione umana, gli allevamenti avicoli, gli uccelli selvatici e, probabilmente, il virus. Sono disponibili diversi modelli di coesistenza con agenti patogeni per le persone e gli animali, tutti impostati sulla conoscenza, la ricerca e l’applicazione di strumenti atti ad annullare o limitare i danni. In nessun caso la psicosi è stata utile, ma ha sempre costituito un ostacolo. E’ pertanto necessario fare un attento esame delle conoscenze, della situazione e dell’ambiente italiani, nonché di ciò che va protetto: popolazione umana, economia, ambiente, modo di vivere, animali domestici e selvatici. Si dovranno poi esaminare le risorse, le modalità e gli strumenti di controllo e le loro conseguenze (valutazione costi/benefici). Andranno anche considerate le entità che possono essere danneggiate o che, al contrario, possono trarre vantaggio dalla infezione ed il loro peso, anche mediatico. La valutazione complessiva potrà condurre ad una strategia a lungo termine. Prof. Adriano Mantovani